Quando fu ucciso, la mattina del 27 marzo di 29 anni fa, Maurizio Gucci aveva 46 anni. Rampollo della famosa dinastia di stilisti, si era laureato in giurisprudenza e, dopo aver sostituto il padre Rodolfo nella direzione della storica maison di moda, aveva venduto le sue quote alla Investcorp, fondando una nuova società che aveva sede nella centralissima via Palestro, a Milano.
La mattina del 27 marzo 1995 Gucci era uscito dalla sua casa di corso Venezia alle 8.30 e come ogni giorno aveva percorso a piedi il breve tratto di strada che lo separava dagli uffici della sua azienda, la Viersee, che aveva sede vicino ai giardini di Porta Venezia.
Non si era accorto che un uomo, un sicario, lo stava seguendo: lo stesso, nell'androne del condominio di via Palestro, lo freddò con quattro colpi di pistola, ferendo al braccio sinistro il portiere Giuseppe Onorato, che aveva assistito alla scena. Poi uscì e si dileguò a bordo di una Renault Clio verde.
I magistrati che per primi lavorarono al caso si concentrarono subito su un movente di tipo economico e ipotizzarono che l'omicidio potesse essersi consumato nell'ambito della faida di famiglia che aveva coinvolto Maurizio Gucci, il padre Rodolfo (a cui era succeduto nella direzione, morto qualche anno prima), lo zio Aldo e i suoi figli Paolo, Roberto e Giorgio.
Si studiò la situazione economica della nuova società di Gucci, che stava progettando l'apertura di un porto turistico a Palma di Maiorca e di un casinò a St. Moritz. Fu avanzata la pista finanziaria internazionale. Poi l'attenzione di chi indagava si concentrò sull'ex moglie Patrizia Reggiani.
La donna, che da Gucci si era separata dieci anni prima, nel 1985, continuava ad usare impropriamente il cognome della famosa maison, confidando ad amici e parenti di essere preoccupata per l'eredità che sarebbe spettata alle figlie Alessandra e Allegra nel caso l'ex marito avesse "dissipato" il suo patrimonio.
Dopo l'omicidio aveva intimato all'allora compagna di Gucci, Paola Franchi, di lasciare l'abitazione in cui convivevano e ci era tornata a stare con le figlie, impedendo alla donna di partecipare al funerale. Con Maurizio erano stati sposati per 13 anni; poi lui, nel 1994, aveva chiesto il divorzio ufficiale.
La svolta arrivò nel gennaio del 1997, quando un informatore della polizia telefonò al capo della Criminalpol milanese Filippo Ninni per dirgli che un certo Ivano Savioni, portiere di professione, gli aveva raccontato, a più riprese, di aver preso parte all'omicidio Gucci per una somma di 50 milioni di lire.
L'uomo fu intercettato. In poco tempo, in questo modo, si arrivò alla verità. Si scoprì che tutto era partito da Patrizia Reggiani, che aveva chiesto a Pina Auriemma, una sedicente maga napoletana, di trovare qualcuno che si incaricasse di uccidere l'ex marito; Auriemma si era quindi messa in contatto con Savioni, che a sua volta aveva messo in mezzo un certo Orazio Cicala, suo amico.
Il sicario si chiamava Benedetto Ceraulo e aveva 35 anni. Tutti ricevettero un compenso. Tutti, al termine delle indagini, furono rinviati a giudizio e condannati: Ceraulo all'ergastolo; Reggiani e Cicala (l'autista) a 29 anni di reclusione; Savioni a 26, Auriemma a 25. Come scrisse il pm Carlo Nocerino nella sua requisitoria, ognuno di loro aveva un movente:
In appello le condanne scesero. Reggiani alla fine è tornata in libertà dopo aver scontato 17 anni di carcere, nel 2014. L'unico ancora recluso è Ceraulo.