Chi è stato a commettere la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980? Una domanda che, dopo 44 anni, dovrebbe avere una risposta semplice. Ma di semplice, purtroppo, quando si parla di anni di piombo e di strategia della tensione, non c'è nulla.
Troppi i depistaggi, troppe le intromissioni di apparati dello Stato più interessati a nascondere prove che a cercare giustizia, troppe le fake news diffuse ad arte da una destra ancora collusa con il fascismo vecchio e nuovo.
Tuttavia oggi, 2 agosto 2024, qualcosa di nuovo si respira nell'aria di questo tragico anniversario dell'attentato terroristico più grave dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in Italia. Non a caso, la frase scelta dall’associazione dei familiari delle vittime per le celebrazioni di oggi è "Sappiamo la verità e abbiamo le prove".
In realtà, una verità storica è sempre esistita su questo come su altri misteri degli anni di piombo, dalla strage di piazza Fontana del 1969 a quella del treno Italicus o di piazza della Loggia a Brescia, entrambe del 1974. Questa verità, ricostruita attraverso l'opera di storici, giornalisti e intellettuali, le ricollega a un terrorismo di matrice neofascista che, attraverso legami con apparati deviati dello Stato, puntava a gettare il Paese nella paura, rendendolo terreno fertile per una deriva autoritaria.
Tuttavia, la verità storicamente accertata di quella comunemente nota come la 'strategia della tensione' trovò da subito non poche difficoltà ad appoggiarsi a una verità giudiziaria che servisse a darle il necessario supporto in termini di giustizia e accertamento dei colpevoli. Un'assenza che permise la diffusione di vere e proprie mistificazioni sulla strage di Bologna, come quelle diffuse non più tardi dello scorso anno da Marcello De Angelis, all'epoca responsabile della comunicazione della Regione Lazio e guidata da Francesco Rocca.
In questo 2024, però, si intravede una luce in fondo al tunnel per quanto riguarda le 85 vittime e i 200 feriti della strage. La conferma in appello dell'ergastolo a Paolo Bellini, ex terrorista nero dell'associazione neofascista Avanguardia Nazionale, ha messo nero su bianco, in una sentenza giudiziaria, gran parte di quella verità storica.
Nelle motivazioni della sentenza, infatti, si legge chiaramente che la strage fu eseguita da individui riconducibili all'estrema destra dell'epoca. Non soltanto dai Nar (Nuclei armati rivoluzionari), dunque, di cui facevano parte Valerio 'Giusva' Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, anche loro condannati all'ergastolo (con l'eccezione di Ciavardini, condannato a 30 anni) in via definitiva, tra il 1995 e il 2007.
Un'associazione formata con lo scopo di destabilizzare la democrazia italiana, guidata e finanziata da quello che le motivazioni definiscono "una sorta di servizio segreto occulto" composto da esponenti politici e da alti funzionari dello stato.
Ecco, dunque, che la sentenza di Bellini contribuisce a mettere al suo posto anche l'ultimo pezzo di questo puzzle costantemente disfatto in questi 44 anni da chi aveva interesse a mantenerlo incompleto. Gli atti del processo sottolineano a più riprese, infatti, gli stretti legami tra il criminale emiliano, servizi segreti deviati e apparati dello Stato, che avrebbero negli anni garantito la sua sicurezza.
Apparati riconducibili alla P2 di Licio Gelli, ma che vedevano coinvolti anche il capo dell'Ufficio Affari Riservati del Viminale, Federico Umberto D'Amato, l'imprenditore Umberto Ortolani e il giornalista Mario Tedeschi.
Un gruppo di potere corrotto che, come stabilisce ancora la sentenza a Bellini, mirava a "impedire ogni prospettiva di accesso della sinistra al potere in Italia", in un periodo di recrudescenza della Guerra fredda.
Finalmente, una verità giuridica interviene a supportare quella storica. Finalmente, "sappiamo la verità e abbiamo le prove".