Gli investimenti in energia rinnovabile sono in crescita a livello mondiale. Con l’introduzione dei dazi statunitensi, la transizione energetica potrebbe subire effetti a causa della mossa di Donald Trump. Le tariffe imposte potrebbero ostacolare l’intero sistema di approvvigionamento globale su cui si basa lo sviluppo delle fonti energetiche alternative. In un momento cruciale per la lotta alla crisi climatica, il protezionismo americano potrebbe compromettere non solo gli equilibri commerciali, ma anche gli sforzi multilaterali verso un’economia a basse emissioni. Allo stesso tempo, la crisi potrebbe spingere alcuni governi a rivedere le proprie priorità, con esiti ancora incerti.
La decisione di Donald Trump di imporre dazi a livello globale potrebbe avere effetti non solo sull’economia mondiale ma anche sulla transizione energetica. Il 2 aprile, Trump ha annunciato nuove tariffe commerciali valide per tutti i paesi senza fare distinzione tra partner storici e avversari. Le misure adottate dal presidente americano hanno colpito persino le zone più remote del globo.
Durante il suo discorso di insediamento, il 20 gennaio, Trump aveva rivendicato il potenziale del petrolio americano, definendolo “oro liquido” e rilanciando lo slogan “Drill, baby, drill”. Già dal primo giorno del suo secondo mandato, era dunque evidente l’intenzione di smantellare il Green New Deal e di favorire la produzione di petrolio e gas. Senza perdere tempo, ha infatti firmato un ordine esecutivo per il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, così come aveva già fatto nel corso del primo mandato. Inoltre, ha deviato le politiche ambientali delle amministrazioni successive congelando il sostegno federale a molti progetti legati all’energia rinnovabile.
Sebbene non si tratti di una conseguenza diretta, è probabile che i dazi introdotti da Trump producano effetti anche sulle politiche climatiche. La pressione sui mercati internazionali e le tensioni con paesi chiave per la produzione di tecnologie verdi (come la Cina) rischiano infatti di rallentare la corsa globale verso la transizione energetica.
Si prevede che i dazi statunitensi aumenteranno i prezzi delle principali tecnologie verdi incidendo direttamente sui costi di produzione di componenti fondamentali, che spaziano dall’acciaio delle turbine eoliche alle batterie per veicoli elettrici, aggravando così le difficoltà lungo l’intera catena di approvvigionamento. Di conseguenza, ciò potrebbe tradursi in prezzi più alti per i consumatori finali e scoraggiare i governi dal perseguire con decisione la lotta contro la crisi climatica. I primi segnali in questa direzione sono già emersi.
L’amministrazione americana ha già annunciato “dazi reciproci” del 34 per cento nei confronti della Cina. Pechino, a sua volta, ha risposto con la stessa percentuale su tutte le importazioni provenienti dagli Stati Uniti. Tuttavia, questa escalation commerciale rischia di compromettere ulteriormente la transizione ecologica. La Cina è infatti il più grande produttore mondiale di materiali per tecnologie a basse emissioni. Inoltre, esporta, tra gli altri, i materiali essenziali per la produzione di turbine eoliche, pannelli solari e batterie agli ioni di litio.
Oltre alla Cina, molti degli elementi fondamentali per l’energia sostenibile provengono anche dall’Europa e da diversi paesi del Sud-est asiatico. Ogni ostacolo commerciale rischia dunque di creare effetti a catena a livello globale.
Il governo britannico ha annunciato un allentamento degli obiettivi di vendita di veicoli elettrici con l’intento di sostenere l’industria automobilistica nazionale. Sebbene il divieto di vendita di nuove auto a benzina e diesel resti previsto per il 2030, le aziende avranno maggiore flessibilità nel raggiungimento degli obiettivi intermedi e nelle eventuali sanzioni.
Alcuni esperti, però, non ritengono che questa situazione rappresenti una battuta d’arresto per la transizione energetica globale. I dazi potrebbero infatti generare nuove priorità e spingere verso politiche alternative. Le misure colpiscono anche le case automobilistiche e, paradossalmente, persino i produttori di combustibili fossili.
Nonostante le politiche favorevoli dell’amministrazione Trump verso il petrolio e il gas, i prezzi del petrolio sono comunque crollati. Se ciò dovesse indicare una bassa domanda di carburante, potrebbe tradursi in un vantaggio per gli sforzi climatici contribuendo a una riduzione delle emissioni. Tuttavia, l’aumento dei costi derivante dai dazi inciderebbe su una vasta gamma di prodotti a livello globale, e non soltanto sulle tecnologie legate alle energie rinnovabili.
Un articolo pubblicato su The Conversation spiega questa dinamica. Si osserva che "le emissioni tendono a diminuire nei periodi di declino economico", anche se si tratta di un effetto temporaneo e non sempre costante nel tempo.
Il commercio globale è in fase di trasformazione e, di conseguenza, anche ciò che ne stimola l’ordine, tra cui innovazione e tecnologia, subirà delle ripercussioni. Il mondo sta attraversando un periodo di profonda incertezza, anche sul piano climatico. Tutto dipenderà da come reagiranno gli attori globali e se si riuscirà a costruire una cooperazione internazionale.