Paolo Sorrentino non fa serie tv, costruisce poliedri. The Young Pope (2016) e The New Pope (2020) sono cristalli narrativi che riflettono l'umanità in ogni sua sfaccettatura: sacra e profana, grottesca e sublime, fragile e arrogante. Con il suo stile inconfondibile, fatto di inquadrature che sembrano dipinti barocchi e dialoghi che oscillano fra parodie e aforismi, Sorrentino ci porta dentro il Vaticano, non per parlare di religione ma per dissezionare l'uomo.
E lo fa con un'ironia tagliente, un'estetica pop e una profondità che ci costringe a guardare, anche quando non capiamo tutto. Perché, come dice Lenny Belardo, alias Pio XIII: "Sapete qual è la vera bellezza delle domande? Che noi non abbiamo le risposte. Alla fine le risposte le ha solo Dio".
Al centro di The Young Pope c'è Lenny Belardo, un cardinale interpretato da Jude Law: ha 47 anni e sale al Soglio Pontificio con il nome di Pio XIII. Rappresenta un paradosso vivente: giovane, bello, fumatore incallito e assiduo bevitore di Cherry Diet Coke, ma anche intransigente, vendicativo, quasi mistico.
È un orfano, abbandonato dai genitori hippie davanti a un orfanotrofio e questo trauma è il motore della sua esistenza. "Chi sei tu, Lenny?", gli chiede il cardinale Dussolier, suo "fratello" in orfanotrofio. "Sono un orfano come te", risponde. E poi aggiunge: "Un prete non cresce mai perché non può diventare padre, sarà per sempre figlio".
Qui Sorrentino colpisce duro: Lenny non è solo un Papa, ma è anche un bambino ferito che cerca risposte a domande impossibili - "Perché mi hanno abbandonato?" - e la proietta sul mondo, sul Vaticano, su Dio stesso. La serie si configura così come una lezione di psicologia. L'abbandono plasma Lenny, lo rende ossessivo, lo intrappola in flashback di volti idealizzati dei genitori.
Ogni odore, ogni suono lo riporta a quel cancello di orfanotrofio, rendendo il trauma una presenza viva. Eppure, Lenny non è solo vittima: è un ribelle che sfida le convinzioni vaticane, rifiuta il marketing papale, si nasconde ai fedeli per essere "invisibile". Il suo primo discorso in Piazza San Pietro, pronunciato nell'ombra, è un manifesto di potere estetico: "Io non sono nessuno, solo Cristo esiste".
Ma è anche un grido di solitudine. Sorrentino usa il Vaticano come un laboratorio antropologico, dove ambizione, ipocrisia, sanità e umanità si scontrano. Suor Mary (Diane Keaton), madre adottiva di Lenny, e il cardinale Voiello (Silvio Orlando), eminenza grigia, sono specchi di questa complessità: lei rappresenta la cura, lui il cinismo del potere.
The New Pope rimescola tutto. Lenny, in come dopo un malore in Piazza San Marco, lascia il Vaticano in un limbo. Il cardinale Voiello, machiavellico ma umano, orchestra l'elezione di Francesco II, un papa pauperista che apre le porte ai migranti e confisca i privilegi dei cardinali, ma muore misteriosamente. Poi arriva Sir John Brannox (John Malkovich), un dandy inglese che diventa Giovanni Paolo III.
Se Lenny era fuoco, John è velluto: vanitoso, colto, tormentato dalla morte del fratello gemello Adam e dal rifiuto dei genitori. Anche lui, come Lenny, è un orfano, ma di un altro tipo: ignorato, non abbandonato. Sorrentino qui esplora il tema del doppio. Due Papi, due traumi, due visioni della fede. Lenny impone a Dio di fare miracoli; John vede la religione come "narrazione sublime", un'estetica per sfuggire al dolore.
Entrambi però sono fragili. La serie si fa corale: non solo più Lenny, ma un mosaico di personaggi - Suor Mary, Voiello, il serafico Gutierrez (Javier Cámara) - che incarnano le contraddizioni dell'umano. E poi ci sono le suore che danzano sotto croci al neon, le minacce dell'ISIS, i cammei di Sharon Stone e Marlilyn Manson.
È un circo sorrentiniano, dove alla serietà si mescolano le gag. Il cuore di The New Pope è la fragilità. Giovanni Paolo III, con i suoi occhi cerchiati e il passato da punk, dice: "Piango per l’inesauribile imperfezione del mondo". Risvegliatosi dal coma, Lenny cerca di salvare un bambino operando un miracolo, ma fallisce.
La settima puntata, con Lenny che emerge dal mare e accetta l'impotenza davanti a un bambino "scheletrico", è un'epifania: l'uomo, come il fanciullo di Nietzsche, trova salvezza nel "sacro dire sì" alla vita, con tutte le sue imperfezioni.
The Young Pope e The New Pope non sono serie religiose, ma specchi dell'animo, con il Vaticano come un palcoscenico. Lenny e John, con le loro ferite, siamo noi: imperfetti, alla ricerca di senso, in bilico fra vizio e virtù. La Pietà, evocata nel finale, è il cuore dell'opera: un abbraccio che accoglie il dolore altrui. "Alla fine si finisce sempre qui, alla Madre", dice Lenny.
Il messaggio di Sorrentino è chiaro: la salvezza sta nell'abbracciare la nostra fragilità, nel riconoscerci come "miserabili rottami" che, nonostante tutto, possono trovare un sorriso nel mistero. Vale le pena guardarle? Assolutamente sì, se amate il cinema che provoca, che mescola alto e basso, sacro e pop, senza dare risposte facili - come accaduto anche nell'ultimo film di Sorrentino, "Parthenope".
Preparatevi a momenti di pura genialità e a qualche eccesso (si parla un po' troppo di Napoli, forse). Ma se cercate trame lineari e certezze morali, potreste trovarvi spiazzati. Sorrentino non è per tutti: è un viaggio per chi ama perdersi nelle domande, non per chi vuole risposte.