29 May, 2025 - 11:48

Il caso del Tylenol sbarca su Netflix: cosa sapere sulla docuserie

Il caso del Tylenol sbarca su Netflix: cosa sapere sulla docuserie

Se c'è una cosa che tutti amano sono i "cold case" e se c'è una cosa che negli States abbonda sono proprio i delitti irrisolti - più o meno - e la loro trasformazione in serie tv o docuserie. Quindi, poteva il "caso del killer del Tylenol" non diventare materiale succoso per Netflix? Risposta: no, non poteva. 

E, così, eccoci qui con "The Tylenol Murders", il nuovissimo true crime del colosso dello streaming, per raccontare una delle pagine più inquietanti della cronaca americana e che riapre un'indagine mai chiusa. Una storia torbida, piena di ombre e domande senza risposta, che ha trasformato il più banale dei gesti - prendere una compressa per il mal di testa - in un atto potenzialmente letale.

Questo il trailer della docuserie firmata Netflix:

"The Tylenol Murders": pillole, morti e mistero

Chicago, 1982. In un'atmosfera che oggi sembra lontanissima, sette persone muoiono dopo aver ingerito capsule di Tylenol. Un dolore alla testa, una compressa, e poi il buio: è cianuro, mescolato dentro i flaconi di uno degli analgesici più diffusi in America. Le morti - tra cui quella della dodicenne Mary Kellerman e dell'intera famiglia Janus - gettano nel panico milioni di americani.

Le farmacie svuotano gli scaffali. Le autorità fanno annunci con gli altoparlanti per le strade: "Non assumete Tylenol". La paranoia si diffonde più veloce di qualsiasi virus. È l’alba di un nuovo tipo di terrore: invisibile, silenzioso, senza volto. 

Sembra la trama di un nuovo film distopico, invece, è quanto realmente accaduto nella "Windy City" per opera di qualcuno senza cuore e senza rimorso: James Lewis. O, almeno, così hanno ritenuto i poliziotti che lo hanno arrestato per gli sconvolgenti omicidi e che da pochissimi giorni è tornato sotto le luci dei riflettori con la docuserie "Cold Case: The Tylenol Murders" su Netflix.

Disponibile dallo scorso 26 maggio, la serie tv true crime ha già cominciato a far parlare di sé per la sconvolgente intervista allo stesso (presunto) assassino.

L’enigma James Lewis: genio criminale o capro espiatorio?

Nel cuore del mistero - appunto - c’è James Lewis, figura sfuggente e ambigua che diventa il sospettato numero uno quando invia una lettera alla Johnson&Johnson, chiedendo un milione di dollari per "fermare le morti". L’FBI lo arresta a New York dopo una caccia all’uomo.

Ma qualcosa non torna: Lewis ha un passato torbido, sì - accuse di frode, persino di omicidio e stupro (poi archiviati) - ma nessuna prova concreta lo lega alle morti di Chicago. Non c’è DNA, non c’è una presenza documentata in città durante gli avvelenamenti. Lui nega tutto. Viene condannato soltanto per estorsione.

Eppure, quarant’anni dopo, il sospetto rimane. La docuserie di Netflix riesce nell’impresa che centinaia di giornalisti hanno fallito: ottenere un’intervista esclusiva con Lewis prima della sua morte, avvenuta nel 2023. E proprio lì, davanti alla telecamera, Lewis si confronta con il passato - e con un flacone di Tylenol.

Quando l’assassino potrebbe essere dietro la macchina da presa

La scena è tanto assurda quanto agghiacciante: i registi Guendelman e Pines porgono a Lewis una confezione sigillata del medicinale. "Ne hai preso uno vecchio, eh?" dice Lewis, sfiorando la plastica con unghie insolitamente lunghe. Ride. Tenta di forzare il sigillo. Sembra un gioco, ma il gelo scende. La docuserie non cerca una confessione. Cerca un ritratto. E lo ottiene.

Lewis è affascinante, brillante, ambiguo. È una mina vagante che si muove sul filo tra innocenza e colpa, tra vittima della macchina mediatica e manipolatore lucido. "Gli piace camminare su questa linea sottile", dice uno dei registi. E in effetti è difficile guardarlo e non sentire un brivido: perché potrebbe benissimo essere il volto del Male, o forse solo il suo perfetto specchio.

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Ciò che ha reso questa volta diversa è stato il fatto che Molly (Forster, la producer ndr.) gli ha dato l'opportunità di non essere solo James Lewis, l'uomo del Tylenol, il mostro spaventoso e inquietante, ma lo ha anche considerato un essere umano e gli ha detto che aveva una storia da raccontare e che lui voleva raccontarla. 

Queste le parole deli registi Yotam Guendelman e Ari Pines riportate in un'intervista in esclusiva con "The Hollywood Reporter". E aggiungono:

virgolette
Non gli abbiamo reso la vita facile. Gli abbiamo fatto tutte le domande difficili e lui ne era consapevole. Ma avevamo la sua fiducia e lui sapeva che avremmo raccontato la sua storia in ogni caso da un punto di vista olistico

La verità imbottigliata: cosa (non) fece Johnson&Johnson

Il documentario va oltre il semplice ritratto del sospettato: mette in discussione anche il ruolo della Johnson&Johnson. L’azienda fu applaudita per la gestione della crisi - un richiamo nazionale, collaborazione con l’FBI, e l’introduzione dei sigilli di sicurezza oggi presenti su ogni farmaco. Ma alcuni dettagli sollevano dubbi: iniziali smentite sulla presenza di cianuro negli stabilimenti, distruzione delle prove, test effettuati internamente sulle capsule contaminate.

"C’era un conflitto di interessi evidente", sostiene Pines, che spiega: "E oggi, dopo la crisi degli oppioidi, forse è il momento giusto per rivedere certe narrazioni". Alcune famiglie delle vittime ritengono che l’ossessione per Lewis abbia impedito di esplorare piste alternative - compresa quella di un possibile sabotaggio interno.

Una serie diversa, perché il terrore non ha volto

"Cold Case: The Tylenol Murders" è un’indagine, certo. Ma è anche qualcosa di più sottile: è un’esplorazione del panico, del sospetto, della fragilità della nostra fiducia nei prodotti quotidiani. Non c’è sangue, non c’è un’arma, non c’è contatto tra assassino e vittime. Il veleno è nel gesto familiare di aprire un armadietto dei medicinali.

È proprio questo a renderla così disturbante: la normalità che diventa trappola. Il comfort che si trasforma in incubo.

Cosa resta oggi del caso Tylenol? Le conseguenze dell’episodio sono state epocali: il Congresso ha approvato il Tylenol Bill, rendendo reato federale la manomissione dei prodotti di consumo. L’industria farmaceutica ha adottato nuove tecniche di confezionamento, come i sigilli di sicurezza e le capsule più resistenti alla manomissione. Ma il colpevole - o i colpevoli - non è/sono mai stati assicurati alla giustizia.

La docuserie si chiude senza risposte definitive, ma con una promessa: forse, con le tecnologie odierne e la volontà di guardare davvero dentro l’oscurità, questo mistero può ancora essere risolto. Fino ad allora, resta una domanda sospesa: è stato davvero James Lewis? O abbiamo guardato nella direzione sbagliata per oltre quarant’anni?

Una cosa è certa: dopo aver visto "Cold Case: The Tylenol Murders", non guarderai mai più una pillola con gli stessi occhi.

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