13 Jun, 2025 - 17:15

Il caso Air Cocaine, la storia reale dietro la docu-serie Netflix che fa discutere

Il caso Air Cocaine, la storia reale dietro la docu-serie Netflix che fa discutere

Un jet privato, due piloti francesi, un carico di oltre 700 chili di cocaina e un’operazione internazionale dai contorni oscuri: è questa la trama che si basa su una storia assolutamente reale, al centro di Il Caso Air Cocaine, la nuova docu-serie in tre puntate disponibile su Netflix.

Diretta egregiamente, come se fosse una serie thriller, il documentario ripercorre la storia che ha fatto scalpore in Francia e in tutto il mondo: dall’arresto dei piloti Bruno Odos e Pascal Fauret nella Repubblica Dominicana nel 2013, fino alla rocambolesca fuga e al processo in patria. 

Qual è la storia vera dietro la docu-serie Il caso Air Cocaine su Netflix

Prima di continuare nella lettura, guarda il trailer ufficiale, grazie al canale Movie Digger:

La scena sembra tratta da un thriller d'azione: un jet privato fermo sulla pista di Punta Cana, 26 valigie piene di cocaina per oltre 700 chili e due piloti francesi al centro di un intrigo internazionale.

Questa, però, non è la trama di un film, ma la vera storia di Pascal Fauret e Bruno Odos, un caso così clamoroso da essere diventato una docu-serie Netflix: Il caso Air Cocaine.

La vicenda, iniziata nel 2013 con l'arresto nella Repubblica Dominicana, ha assunto contorni ancora più rocamboleschi e strambi quando, nel 2015, i due piloti sono fuggiti via mare per tornare in Francia.

Ecco i due piloti:

Ed ecco il vero aereo sequestrato:

Lì è iniziato un lungo calvario giudiziario: una condanna a sei anni, un appello e, infine, una sorprendente assoluzione nel 2021.

Al centro del dibattito una domanda tanto semplice quanto importante: un pilota è responsabile del contenuto dei bagagli che trasporta? La serie dà magistralmente voce a entrambe le campane.

Eroi o corrieri? La difesa dei piloti

Dal loro punto di vista, quello di Fauret e Odos è il racconto di un incubo vissuto da innocenti.

"Quando sei innocente, quasi ti costituisci. È come dire: ok, per favore aiutami", racconta Odos descrivendo lo shock iniziale.

In Francia, la loro patria, i due non erano visti come criminali, ma come eroi nazionali, veterani dell'esercito con un passato impeccabile al servizio del paese, decorati per missioni delicate come il trasporto di armamenti nucleari.

L'idea che potessero essere coinvolti nel narcotraffico sembrava inconcepibile a molti, e, infatti, la maggior parte dei francesi li ha sostenuti.

La loro difesa si è basata su un'analogia potente ed efficace: quella del tassista. Come ha spiegato uno dei registi della serie, i loro avvocati hanno sostenuto che, proprio come un tassista non ispeziona la valigia che un cliente mette nel bagagliaio, un pilota di voli privati non ha il compito né il diritto di chiedere conto del contenuto del carico.

Il loro lavoro, come dice sinteticamente Fauret, era semplice: "Mi dicono la data e io prendo l'aereo. Non so mai lo scopo del viaggio". Il controllo spetta alle autorità doganali, non all'equipaggio.

L'ombra del dubbio: l'inchiesta

Dall'altra parte della barricata c'è Christine Saunier-Ruellan, il tenace giudice istruttore francese che ha guidato le indagini.

Pur senza prove schiaccianti, ha messo insieme una serie di "indizi" che dipingevano un quadro sospetto.

Perché sempre gli stessi piloti e lo stesso passeggero per ben tre voli? Perché, proprio nel volo incriminato, l'hostess era stata informata che i suoi servizi non erano necessari e, quindi, non era stata fatta salire a bordo?

L'inchiesta è diventata ancora più oscura, quando sono emersi messaggi criptici come "natura del carico confermata" e ricerche internet di Fauret sul narcotraffico e le relative sanzioni.

Per Saunier-Ruellan, questi erano segnali di colpevolezza. La verità, però, è che non è mai stato possibile stabilire un legame inconfutabile tra quei messaggi e le 26 valigie di cocaina. 

Una verità sfuggente, mai provata e il verdetto del pubblico

Alla fine, è stata proprio la mancanza di prove dirette a portare all'assoluzione in appello. I due non si sarebbero potuti condannare oltre ogni ragionevole dubbio.

La giustizia ha stabilito che i sospetti, per quanto forti, non erano sufficienti per una condanna penale. 

I registi stessi ammettono di non avere una risposta e di non sapere se i due siano colpevoli o innocenti. "Ci siamo chiesti durante tutte le riprese: sono responsabili? E devo dire che non abbiamo la risposta", confessa il co-regista Olivier Bouchara.

La serie non emette affatto un verdetto, ma condivide un dilemma. A volte, durante la visione, un dettaglio sembra incastrare i piloti, ma un attimo dopo, un altro elemento rimette tutto in discussione. 

Saranno gli spettatori a decidere a quale versione credere.

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