Per noi appassionati di musica dal vivo, la scena è fin troppo familiare, purtroppo: il conto alla rovescia che scade, il click frenetico sul tasto "acquista", e in una manciata di secondi la delusione cocente a causa della scritta "sold out".
Dopo di che c'è la corsa disperata sui mercati secondari a prezzi gonfiati. Eppure, poche settimane dopo, le foto e i video di quel concerto tanto atteso mostrano una realtà inspiegabile: interi settori desolatamente vuoti, centinaia di posti che nessuno ha mai occupato. Ma com'è possibile?
Purtroppo questa è solo la punta dell'iceberg di un sistema complesso e non trasparente, un lato oscuro dell'industria musicale che, dal periodo post-pandemia, prospera su finti sold out e biglietti fantasma.
Ma chi guadagna davvero da questo paradosso, e come è possibile che la passione di milioni di persone venga sfruttata in questo modo? È quello che cercheremo di scoprire.
Negli ultimi giorni si sta sentendo parlare dappertutto del fenomeno dei finti sold out nei concerti.
Ciò che fino a pochi anni fa era un sospetto tra addetti ai lavori, oggi è esposto alla luce del sole, dopo che giornalisti e artisti hanno denunciato dinamiche fin troppo diffuse.
Secondo Il Post, la pratica è un segreto di Pulcinella ormai rodato dalla fine della pandemia.
Dichiarare il "tutto esaurito" stimola contagio mediatico, crea un’aura di successo e spinge i fan – e i media – ad alimentare l'hype. Ma cosa c’è dietro questa strategia?
La strategia dietro questa illusione è tanto semplice quanto efficace. Gli organizzatori possono ridurre deliberatamente la capienza ufficiale di un palazzetto o di uno stadio, chiudendo interi settori.
Altre volte, distribuiscono all'ultimo minuto centinaia di biglietti omaggio o voucher pesantemente scontati per riempire i buchi più evidenti.
Queste pratiche, sia chiaro, sono legali, ma ingannevoli.
A fare luce su questo mondo è stata un'inchiesta di Selvaggia Lucarelli, che ha raccolto testimonianze di manager e addetti ai lavori.
Sono state rivelate così storie di artisti, soprattutto giovani, spinti sul palcoscenico di arene troppo grandi per le loro reali capacità di vendita, costretti a finanziare di tasca propria una tournée che appare trionfale all'esterno, ma che si rivela economicamente disastrosa.
A dare voce a questo malcontento, con una lucidità disarmante, è stato Federico Zampaglione.
In un lungo post, il leader dei Tiromancino ha messo in scena un dialogo allegorico tra un artista preoccupato per le vendite scarse e il suo manager, che lo rassicura promettendo di riempire la venue con biglietti svenduti a 1 o 10 euro, il cui costo ricade interamente sull'artista stesso.
Zampaglione non ha usato mezzi termini, definendolo un "sistema diabolico" che "sta distruggendo il meccanismo dei concerti e molte carriere".
Il risultato è un gioco a somma quasi zero, dove i vincitori sono pochi. I promoter e le venue guadagnano in visibilità e potere contrattuale con gli sponsor, ma basandosi su numeri gonfiati. L'artista ottiene un ritorno d'immagine immediato, ma rischia di accumulare debiti e stress.
E che dire del pubblico? Chi ha pagato un biglietto a prezzo pieno si sente, a ragione, ingannato. È qui che questo stratagemma, se pur legale, si trasforma in un tradimento della fiducia dei fan.
Non si tratta di un fenomeno solo italiano. Negli Stati Uniti, i tour di superstar globali come Taylor Swift e Beyoncé hanno fatto i conti con dinamiche simili, tra bot che monopolizzano le vendite e stadi dichiarati "sold out" che poi si rivelano parzialmente vuoti.
Ma le cose stanno cambiando. I primi a volerlo sono proprio i cantanti. Movimenti come "Fix The Tix", sostenuti da centinaia di artisti, chiedono maggiore trasparenza, a partire da un obbligo di rendere pubblico il numero di biglietti distribuiti gratuitamente o a prezzo ridotto.
Rompere questo meccanismo richiederà coraggio e una presa di coscienza collettiva.
Ma il risultato sarà maggiore trasparenza, onestà e la possibilità di restituire finalmente, agli eventi dal vivo, quell'autenticità che rischia di perdersi dietro l'illusione di un successo costruito a tavolino.