La vita da ereditiera non è tutta copertine e shooting: a volte, tra un red carpet e un tattoo nuovo, bisogna anche leggere carte bollate. Paris Jackson lo sa bene. L’ultima figlia ribelle del Re del Pop si è ritrovata a spulciare i conti del colossale impero lasciato da papà Michael e… qualcosa non torna.
Parliamo di 625mila dollari - una cifra non proprio da spiccioli - che nel 2018 sarebbero usciti dall’estate Jackson diretti a tre studi legali. E fin qui, tutto (più o meno) normale. Il problema? Quei soldi sarebbero stati pagati per "tempo non tracciato". Tradotto: nessuno sa davvero per cosa.
Una cosa è certa: Paris è preoccupata. E non si è fatta problemi a dirlo a voce alta - anzi, in tribunale. Ecco sta succedendo.
Nelle carte depositate in aula e ottenute da People, Paris si scaglia contro i cosiddetti "pagamenti premium" - bonus extra concessi a chi lavora con l’estate. Fin qui nulla di clamoroso, se non fosse che, in questo caso, si tratta di parcelle non documentate: ore non rendicontate, zero trasparenza, e nessuna spiegazione sul perché nessuno abbia segnato a cosa servissero.
Due dei tre studi legali coinvolti avrebbero già ricevuto quei bonifici corposi senza che la corte li avesse ancora approvati, il che (a detta di Paris) rappresenta una violazione bella e buona. E il sospetto è che non si tratti di semplici sviste.
Nei documenti si parla infatti di "gratificazioni sontuose" regalate a professionisti già ampiamente stipendiati. Insomma, più mancia natalizia che onorario.
E Paris, da brava figlia di star, ha imparato a leggere tra le righe: si chiede se questi "lavoretti" da centinaia di migliaia di dollari non nascondano un sistema ben oliato in cui controllo e supervisione sono optional. Anche perché - scrive il suo legale - non c’è traccia di accordi scritti per autorizzare questi rimborsi a sei zeri.
Se da una parte c’è Paris col sopracciglio alzato e l’aria da chi ha appena scoperto che qualcuno ha toccato la sua borsa Chanel, dall’altra parte gli esecutori testamentari di Michael rispondono con tono pacato, quasi paterno:
Il loro legale, Jonathan Steinsapir, spiega che i famigerati "premium payments" sono in linea con la prassi degli ultimi dieci anni, sempre approvati dalla corte, e assolutamente legittimi.
Una fonte vicina alla famiglia rincara la dose e accusa Paris (velatamente) di fare drammi per nulla: quei soldi, sostiene, erano bonus meritati per l’enorme affare della vendita della quota del catalogo EMI, comprata nel 2012 per 50mila dollari e rivenduta nel 2018 per quasi 300 milioni. Un colpo da maestro:
Quanto alle accuse di non aver rispettato i vincoli della corte, la risposta è secca: "Paris ha frainteso. I documenti legali sono chiari, e nessuna regola è stata infranta".
Tradotto: se ci sono stati pagamenti, è perché il lavoro lo meritava. Fine.
È ormai leggenda il fatto che, al momento della sua morte nel 2009, Michael Jackson fosse sommerso dai debiti: oltre 500 milioni di dollari da pagare, più di 65 creditori in fila, e un tour in arrivo che prometteva di rimetterlo in carreggiata… ma non fece in tempo.
A distanza di 15 anni, il suo patrimonio si è completamente trasformato: oggi è un colosso multimiliardario che genera guadagni stellari ogni anno. A beneficiarne? I suoi tre figli: Paris, Prince e Bigi.
Ma anche tra parenti glamour, ville hollywoodiane e concerti-tributo, i soldi fanno litigare. E adesso, con l’udienza fissata per il 16 luglio, Paris è pronta a far valere la sua voce - e il suo diritto a sapere dove vanno a finire i milioni del papà.
Chissà cosa direbbe Michael. Ma di una cosa siamo certi: in questa famiglia, il Moonwalk tra le carte legali è tutt’altro che facile.