22 Jul, 2025 - 17:23

Come finisce "Mio Figlio" e di cosa parla il film di Bora Egemen?

Come finisce "Mio Figlio" e di cosa parla il film di Bora Egemen?

Il cinema turco ha regalato negli ultimi anni storie emozionanti, capaci di scavare in profondità nel cuore degli spettatori. "Mio Figlio" ("Hadi Be Oğlum"), diretto da Bora Egemen e uscito nel 2018, ha colpito dritto all’anima di chiunque lo abbia visto. Un film che parla di dolore, amore, perseveranza e redenzione attraverso il rapporto complicato tra un padre e un figlio chiuso in un mondo tutto suo.

Ma di cosa parla "Mio Figlio" di Bora Egemen?  E soprattutto, come finisce questo toccante dramma familiare che ha commosso un’intera generazione di spettatori? Ecco tutto ciò che sappiamo della pellicola.

Di cosa parla "Mio Figlio" di Bora Egemen

La trama di "Mio Figlio" ruota attorno ad Ali, un giovane pescatore che vive in un piccolo villaggio costiero. Ali ha perso la compagna Leyla in un tragico incidente e si ritrova a crescere da solo il figlioletto Efe. Ma Efe non è un bambino come gli altri: ha un disturbo dello spettro autistico, non parla, non sorride, non risponde agli stimoli del padre e si isola in un silenzio profondo e impenetrabile.

Il film ha raccontato con grande delicatezza la quotidianità stravolta di un uomo che cerca disperatamente di entrare in contatto con il proprio figlio. Ali ha provato tutto: giochi, parole, silenzi, abbracci, lacrime. Ma niente sembrava funzionare. La frustrazione lo ha portato a dubitare perfino di sé stesso, a chiedersi se Efe potesse mai percepire l’affetto che lui tentava disperatamente di trasmettere.

Nonostante il dolore, Ali non si è mai arreso. Ha continuato a lottare, giorno dopo giorno, tra le difficoltà economiche, l’isolamento emotivo e i giudizi della gente. La forza del film sta proprio in questa ostinazione piena di amore. Il regista Bora Egemen ha costruito una narrazione intensa ma mai retorica, mostrando la fragilità e il coraggio di un padre che non smette mai di credere.

Come finisce "Mio Figlio"

Il finale di "Mio Figlio" ha lasciato gli spettatori con le lacrime agli occhi. Dopo lunghi mesi in cui Efe è rimasto chiuso nel suo silenzio, un evento inaspettato ha cambiato tutto. Durante una sera in città, Ali ha notato che il bambino si era fermato incantato davanti a un locale dove qualcuno suonava il pianoforte. È stata la prima volta che Efe ha mostrato un’emozione chiara, un interesse autentico verso qualcosa.

Ali ha capito al volo. Ha comprato per Efe una piccola tastiera e ha iniziato a osservare il figlio mentre toccava i tasti con crescente sicurezza. Per la prima volta, Efe ha iniziato a comunicare: non con le parole, ma con la musica. La tastiera è diventata il suo ponte con il mondo esterno, un mezzo per esprimere quello che fino a quel momento era rimasto chiuso nel suo silenzio.

Ali ha iscritto Efe a delle lezioni di pianoforte, sostenendo il suo talento naturale. Il momento più emozionante arriva quando Efe viene selezionato per entrare in un conservatorio. L’ultima scena li mostra insieme, sereni, mentre il bambino suona e guarda finalmente negli occhi suo padre. È il gesto che Ali ha aspettato per tutta la vita: uno sguardo, un segnale, un contatto reale.

Non c’è un lieto fine classico, ma c’è la promessa di un futuro possibile, fatto di musica, amore e comprensione. Un finale sobrio ma carico di speranza, che ha chiuso il cerchio narrativo con una nota di dolcezza e commozione.

Il potere del silenzio e la voce della musica

Uno dei grandi meriti di "Mio Figlio" è stato quello di raccontare l’autismo senza pietismi né stereotipi. Il silenzio di Efe non è stato dipinto come un buco nero, ma come un territorio inesplorato, pieno di significati da scoprire. La musica è diventata lo strumento salvifico, la chiave che ha aperto la porta della comunicazione.

Ali ha rappresentato l’archetipo del genitore che ama senza condizioni, che accetta la diversità e si mette in discussione. Non ha cercato di "guarire" il figlio, ma di comprenderlo. Il film ha anche messo in luce la solitudine di tanti genitori che affrontano situazioni simili: non sempre ci sono risposte, spesso manca il sostegno, ma l’amore può fare miracoli.

La regia ha saputo dosare momenti intensi, senza mai scivolare nel melodramma. Le immagini del mare, delle reti da pesca, del piccolo villaggio, hanno creato un’atmosfera intima e autentica. Kıvanç Tatlıtuğ, uno degli attori più amati della Turchia, ha regalato una delle sue interpretazioni più sentite, dando al personaggio di Ali una profondità rara.

Perché "Mio Figlio" ha conquistato il pubblico

"Mio Figlio" ha saputo toccare corde universali: la genitorialità, la perdita, la lotta contro l’incomprensione. Ha parlato a chiunque si sia mai sentito solo davanti a una sfida più grande di sé. Non è un film perfetto, ma è un film vero. E questo lo ha reso speciale.

Ha avuto successo in patria e ha trovato spazio anche all’estero, grazie al passaparola e alla potenza della narrazione emotiva. Molti genitori di bambini autistici hanno riconosciuto in Ali la propria battaglia quotidiana. Efe, con il suo silenzio e i suoi occhi spalancati sul mondo, è diventato il simbolo di un’altra forma di comunicazione: quella che non passa dalle parole, ma che si esprime nei gesti, nelle note, negli sguardi.

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