Sì, il film attinge a piene mani dalla storia vera di Yoann Barbereau, direttore dell'Alliance Française in Siberia, che a metà degli anni 2010 fu arrestato dai servizi segreti russi (FSB) con accuse false, imprigionato e infine costretto a una rocambolesca fuga per tornare in Francia.
Una storia che, di per sé, aveva tutti gli ingredienti di un thriller mozzafiato. Ma i cliché rovinano il risultato finale.
"Kompromat" è un thriller francese basato sulla storia vera di un diplomatico che ha sfidato i limiti della cultura e ha pagato un prezzo terribile.
Mathieu Roussel (interpretato da Gilles Lellouche) viene inviato a Irkutsk per dirigere l'Alliance Française in Siberia.
Durante l'inaugurazione di un teatro restaurato, l'organizzazione mette in scena un balletto che include un bacio tra persone dello stesso sesso.
Roussel divenne così il bersaglio di una campagna di discredito orchestrata dai servizi segreti russi (FSB). Con accuse costruite ad arte, il diplomatico fu arrestato e rischiò una pesante condanna a vita.
L'uomo viene arrestato con accuse infamanti (pedopornografia) come palese ritorsione per aver organizzato un balletto omoerotico e, peggio ancora, per aver ballato con la nuora di un potente agente dell'FSB.
L’operazione di “kompromat” – pratica tipica delle strategie di manipolazione e intimidazione politica – mirava a distruggerne la reputazione e ridurlo al silenzio.
Improvvisamente catapultato in una realtà fatta di interrogatori, sorveglianza e pressioni psicologiche, Roussel fu costretto a trasformarsi: da uomo di cultura e intellettuale raffinato, a fuggitivo in lotta per la propria libertà.
La sua fuga rocambolesca dalla Siberia verso la Francia rimane uno degli episodi più drammatici della recente storia diplomatica, simbolo di come un individuo possa diventare pedina in giochi di potere internazionale.
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C'è una regola non scritta nel cinema che si ispira a fatti reali: se non riesci a ottenere i diritti di una storia, forse è meglio lasciar perdere, piuttosto che stravolgerla fino a renderla irriconoscibile.
Il regista Jérôme Salle, con il suo "Kompromat", sembra aver ignorato questo saggio consiglio, trasformando un'incredibile vicenda di spionaggio internazionale in un melodramma prevedibile e privo di anima.
La Russia dipinta da Salle è un luogo lugubre e ostile, dove arte e cultura sono viste con sospetto e dove ogni paesaggio, urbano o naturale che sia, emana un senso di oppressione.
Se l'intento era quello di trasmettere l'angoscia del protagonista, l'obiettivo è forse fin troppo riuscito, al punto da rendere la visione un'esperienza faticosa e poco coinvolgente.
Il film, inoltre, spreca l'occasione di approfondire un tema affascinante: come il totalitarismo influenzi il comportamento della gente comune.
Ci sono brevi accenni, come i cittadini che aiutano Roussel nella sua fuga, esponendo icone di Putin in auto per apparire lealisti insospettabili. Ma la riflessione rimane in superficie. Ci si chiede se quelle stesse persone lo avrebbero aiutato se avessero conosciuto le accuse infamanti a suo carico.
Anche il cast sembra soffrire di questa mancanza di profondità. La talentuosa Joanna Kulig è ridotta a un mero oggetto del desiderio, un personaggio monodimensionale incapace di brillare.
Gilles Lellouche fa del suo meglio, trasmettendo la disperazione e la stanchezza del suo personaggio, ma la sua relazione con Kulig appare forzata, un meccanismo pigro per sottolineare la sua innocenza.
Ciò che doveva essere un thriller teso, pungente e avvincente, si trasforma in un film languido e fiacco.
Salle aveva tra le mani la storia di un agghiacciante rapimento di stato e l'ha trasformata in un prodotto di finzione insignificante, privo della tensione e della complessità che la vicenda reale meritava. Un'occasione mancata.