Nel linguaggio della politica estera israeliana ritorna spesso un termine che per molti resta oscuro: hasbara. Letteralmente significa “spiegazione”, ma nella pratica è una tattica di propaganda, un apparato comunicativo studiato a tavolino per giustificare e legittimare le azioni di Israele sulla scena internazionale, in particolare contro i palestinesi.
Non si tratta di semplici comunicati stampa o relazioni diplomatiche, ma di un sistema complesso, dall’apparenza sofisticata, che ha l’obiettivo finale di raccontare una verità parziale, se non direttamente distorta, con lo scopo di difendere l’indifendibile: l’occupazione militare e i massacri nella Striscia di Gaza.
L’hasbara è, in sostanza, l’arte di manipolare il linguaggio. Ogni parola usata nelle dichiarazioni ufficiali è frutto di studi semantici e campagne coordinate: i bombardamenti su Gaza diventano “operazioni mirate”, i civili palestinesi uccisi sono “danni collaterali”, e ogni attacco viene incorniciato come “autodifesa”. In questo vocabolario sterilizzato, la violenza di uno degli eserciti più potenti al mondo viene ridotta a mera esigenza di sopravvivenza contro un nemico che viene sistematicamente demonizzato.
Il punto centrale è che Israele non cerca davvero di convincere i diretti interessati, ossia i palestinesi, ma l’opinione pubblica internazionale. È nei salotti occidentali, nei giornali mainstream, nei palazzi della politica europea e statunitense che l’hasbara deve attecchire. Per questo viene inondata la rete di video, infografiche e testimonianze pilotate che spesso finiscono sulle prime pagine delle più grandi testate, rafforzando l’idea che le bombe sganciate su Gaza siano “necessarie” e persino “giuste”.
La funzione dell’hasbara è chiara: normalizzare ciò che in altre circostanze verrebbe condannato senza esitazione. Un esempio lampante è il bombardamento sistematico di ospedali e scuole nella Striscia di Gaza. In qualsiasi altro scenario geopolitico, attaccare strutture civili verrebbe etichettato come crimine di guerra.
Ma nel caso di Israele, grazie alla macchina comunicativa, quelle stesse strutture vengono presentate come “basi terroristiche camuffate”. La narrazione ufficiale diventa dunque un’arma a doppio taglio: non solo giustifica le stragi, ma cancella il dolore delle vittime, che non vengono più viste come bambini, medici, insegnanti, ma come potenziali minacce.
Questo processo di disumanizzazione è il cuore dell’hasbara. È molto più facile bombardare una città quando l’opinione pubblica mondiale ha smesso di considerare quei corpi come vite degne di protezione e ha iniziato a immaginarli solo come “collaterali inevitabili”.
L’hasbara funziona così bene per un motivo semplice: trova terreno fertile nell’ipocrisia dell’Occidente. I governi europei e gli Stati Uniti hanno bisogno di Israele come avamposto strategico, e quindi ripetono meccanicamente i suoi argomenti.
Non importa quanti civili vengano uccisi: basta pronunciare le formule del lessico israeliano – “legittima difesa”, “lotta al terrorismo”, “sicurezza nazionale” – e le critiche si smorzano. Tanto che molte cancellerie occidentali finiscono per adottare direttamente il linguaggio concepito dall’hasbara, trasformandosi nei migliori portavoce di Tel Aviv.
Eppure, dietro questa apparente solidità mediatica, l’hasbara scricchiola. Perché la verità, a lungo silenziata, trova sempre una via per emergere. I video dei bambini estratti dalle macerie, le immagini di quartieri rasi al suolo, le testimonianze delle ONG indipendenti sono macigni che incrinano la narrazione ufficiale. Di fronte a una catastrofe umanitaria di proporzioni immani, le giustificazioni propagandistiche appaiono per quello che sono: retorica sterile, incapace di coprire la realtà di un massacro.
Il termine stesso, hasbara, racchiude una contraddizione. Spiegare l’inspiegabile, giustificare l’ingiustificabile. Il fatto che Israele abbia dovuto dedicare un’intera infrastruttura politica e comunicativa a questo scopo dimostra quanto sia fragile la base morale delle sue azioni. Nessun altro Stato che davvero agisca per “difesa” ha bisogno di inventare un meccanismo di propaganda così ossessivo e capillare.