19 Oct, 2025 - 16:21

A House of Dynamite, la recensione del thriller politico

A House of Dynamite, la recensione del thriller politico

Prima ancora che il logo di Netflix illumini lo schermo in "A House of Dynamite", un rombo sordo e viscerale emerge dalla colonna sonora di Volker Bertelmann, gettando lo spettatore in uno stato di terrore preventivo.

È un'ansia che precede qualsiasi evento, un'incarnazione sonora della paranoia che attanaglia la catena di comando di fronte alla minaccia più estrema: un attacco nucleare.

Con il suo nuovo, tesissimo thriller politico, la regista Kathryn Bigelow non si limita a raccontare una crisi; ci immerge nel suo epicentro e orchestra un'esperienza cinematografica che lascia senza fiato e con una profonda inquietudine esistenziale.

Un film che vale la pena di vedere, ricco di tensione e pathos

Il film si apre su una giornata apparentemente ordinaria all'interno dell'apparato di sicurezza nazionale statunitense.

Funzionari governativi e militari monitorano schermi, analizzano dati, seguono protocolli. Un segnale anomalo appare sui radar: un missile non identificato in rotta verso il continente americano. Inizialmente, la preoccupazione è contenuta.

Esistono procedure standard, sistemi di intercettazione come il Ground-Based Interceptor (GBI) progettati proprio per neutralizzare tali minacce. Ma quando il primo tentativo di intercettazione fallisce, l'ordinaria amministrazione si trasforma in un conto alla rovescia verso l'apocalisse.

Bigelow, con la maestria che la contraddistingue, ci scaraventa direttamente nella situation room, nel cuore pulsante del processo decisionale.

Non reinventa il suo stile visivo, ormai imitatissimo, fatto di zoom nervosi, camera a spalla e un montaggio frenetico che conferisce alla narrazione un senso di volatilità verité. Piuttosto, ne dimostra la padronanza assoluta, utilizzando ogni strumento formale per amplificare la tensione a livelli quasi insostenibili.

Lo spettatore diventa un osservatore invisibile, intrappolato in stanze claustrofobiche dove il destino del mondo viene deciso attraverso scambi di dialogo rapidi e densi di un gergo militare quasi impenetrabile.

Ecco il trailer:

Una sceneggiatura incredibile

La sceneggiatura di Noah Oppenheim non fa sconti e non tiene per mano il pubblico. Privilegia il realismo, costringendo chi guarda a decifrare acronimi e a seguire deliberazioni ad altissimo rischio senza filtri.

L'effetto è quello di assistere a un documentario basato sul proprio peggior incubo, un'immersione totale in una crisi che appare spaventosamente plausibile.

Una costruzione a matrioska

Il cast corale, che si estende dalle basi militari in Alaska fino allo Studio Ovale con il Presidente interpretato da Idris Elba, è gestito con precisione chirurgica dal montatore Kirk Baxter (premio Oscar e storico collaboratore di David Fincher).

Nonostante le molteplici location e i numerosi personaggi, il focus della narrazione e la progressione degli eventi rimangono sempre di una chiarezza cristallina, anche nel caos più totale.

Tuttavia, è nella sua struttura narrativa che "A House of Dynamite" rivela la sua natura più complessa e terrificante.

Quello che inizialmente sembra un racconto puramente cronologico, un conto alla rovescia lineare, si ripiega su se stesso per svelare una costruzione a matrioska.

Ogni strato di analisi della situazione ne rivela uno più profondo e complicato, reinterpretando eventi che sembravano già chiari.

Si parte dagli operatori di livello inferiore, come il Capitano Olivia Walker (Rebecca Ferguson) e il Maggiore Daniel Gonzales (Anthony Ramos), che eseguono meccanicamente gli ordini.

Si passa poi ai leader di dipartimento, come il Vice Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Baerington (Gabriel Basso), che introducono la variabile delle ricadute geopolitiche.

Infine, la responsabilità ultima ricade sul Presidente e sul Segretario alla Difesa Reid Baker (Jared Harris), costretti a bilanciare l'istinto politico con la vita di milioni di persone.

È qui che il film individua la sua tesi più agghiacciante. Oppenheim definisce questi personaggi non solo attraverso i loro ruoli, ma attraverso le loro vulnerabilità umane.

Ognuno ha un legame personale, un pregiudizio, una paura che lo allontana dalla razionalità equilibrata richiesta in un momento del genere.

Il controllo formale impeccabile della regista serve a mettere in scena il suo esatto contrario: un sistema di difesa scricchiolante, non collaudato e pericolosamente inadeguato a gestire l'irrazionalità.

La vera tragedia che "A House of Dynamite" porta alla luce è che, sia che i cittadini ripongano la loro fiducia nelle procedure o nelle persone, nessuno dei due può garantire di impedire la distruzione di massa.

Il film di Kathryn Bigelow è un thriller superbo, ma è soprattutto un avvertimento devastante: la più grande minaccia non è il missile in arrivo, ma la fallibilità di chi ha il dito sul pulsante.

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