Dietro l’energia magnetica di Joaquín Cortés, dietro quei passi che sembrano colpire il palco come un battito del cuore, c’è una storia familiare intensa, fatta di radici profonde e di un legame viscerale con la madre.
Il ballerino spagnolo non ha mai nascosto quanto la sua famiglia abbia inciso sulla sua identità, ma è soprattutto l’addio a Basilia Reyes Flores, sua madre, ad aver lasciato un segno indelebile nella sua vita personale e artistica. Una ferita che Cortés ha trasformato in danza, memoria e dediche silenziose.
Joaquín Cortés Reyes nasce a Córdoba il 22 febbraio 1969, in una famiglia gitana, dove il senso di appartenenza, il rispetto per le origini e l’emotività non sono concetti astratti, ma regole di vita. I suoi genitori crescono il figlio in un ambiente semplice, lontano dai riflettori, ma ricco di cultura orale, musica e tradizioni.
La madre, Basilia Reyes Flores, è la figura più presente nei racconti dell’artista. Del padre, invece, Joaquín ha sempre scelto la strada della discrezione: nessun nome sbandierato, nessun racconto pubblico dettagliato. Una scelta coerente con il suo modo di proteggere ciò che considera sacro.
I genitori sostengono il talento del figlio fin da quando è bambino, accettando sacrifici enormi pur di permettergli di studiare danza. Il trasferimento a Madrid, quando Joaquín ha appena dodici anni, segna una svolta: la famiglia lascia Córdoba per inseguire un sogno che allora sembrava più grande di loro.
Crescere in una famiglia gitana in Spagna significa fare i conti con pregiudizi, ostacoli e strade in salita. Joaquín Cortés lo ha vissuto sulla propria pelle, ma ha sempre rivendicato con orgoglio le sue origini.
I genitori gli hanno trasmesso il valore della dignità, del lavoro e della perseveranza, qualità che lo hanno aiutato a emergere in un mondo competitivo come quello della danza. A Madrid, il giovane Cortés alterna lo studio della danza classica al flamenco, affrontando ritmi durissimi.
I genitori lo sostengono economicamente e moralmente, rinunciando a una vita più semplice pur di dargli un futuro. A soli quattordici anni entra nel Ballet Nacional de España, un traguardo che racconta meglio di mille parole il peso dei sacrifici familiari.
Basilia Reyes Flores non è solo "la madre di Joaquín Cortés". È la donna che ha creduto in lui quando il talento era ancora acerbo, che lo ha sostenuto nei momenti di fatica, che ha reso possibile una carriera internazionale partendo dal nulla.
Cortés ha più volte raccontato che sua madre era il suo punto di equilibrio, la voce che lo riportava a terra quando il successo rischiava di travolgerlo. La sua scomparsa è stata uno spartiacque.
Joaquín non ha mai trasformato il dolore in spettacolo mediatico, ma lo ha lasciato filtrare nei gesti, nelle scelte artistiche, nei silenzi. Non a caso, l’opera "Calé", debutto del 2009, è dedicata esplicitamente a lei. Un omaggio potente, viscerale, che parla di identità, perdita e amore incondizionato.
In più occasioni il ballerino ha lasciato intendere che ballare, dopo quell’addio, non è più stato lo stesso. Ogni passo è diventato un dialogo con l’assenza, ogni coreografia un modo per tenere viva la memoria.
Dopo la morte della madre, Joaquín Cortés sceglie di non esporsi troppo pubblicamente sul lutto. Nessun post strappalacrime, nessuna intervista gridata. Eppure, chi segue il suo percorso artistico percepisce chiaramente il cambiamento: spettacoli più introspettivi, scelte più personali, un ritorno alle radici.
La figura di Basilia Reyes Flores resta una presenza costante, anche invisibile. Cortés ha lasciato intendere che molte delle sue creazioni più recenti nascono proprio da quel vuoto, da quella mancanza che non si colma ma si impara a portare con sé.
Nel suo modo di ballare oggi c’è meno ostentazione e più verità. Un’evoluzione che parla di maturità, ma anche di un figlio che continua, passo dopo passo, a danzare per sua madre.
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