Siamo negli anni ottanta. Fabietto è il terzo figlio di Saverio (Toni Servillo) e Maria, coppia napoletana medioborghese che nonostante i problemi coniugali si dimostra sempre affiatata e vitale. Il ragazzo è un adolescente timido e introverso, molto incerto sul da farsi una volta diventato grande. Sorrentino introduce il suo alter ego cinematografico attraverso una coloratissima galleria di personaggi grotteschi e divertiti, tutti parenti e amici, uniti da legami di sangue ma soprattutto dal culto indiscusso di Maradona, al tempo prossimo ad unirsi al club della città. Tra loro c’è la provocante zia Patrizia, bella quanto psicolabile - che sarà protagonista di un’esoterica scena d’apertura - la ruvida quanto spassosa signora Gentile, la vecchia Baronessa, Mario il portiere, lo zio che vede i gol come atti politici.
Poi il racconto prende un’altra piega, accade l’irreparabile (e il miracolo, la mano di Dio). Fabietto, ormai abbastanza grande, diserta l’invito dei genitori a trascorrere il weekend nella casa di Roccaraso per seguire in trasferta il Napoli e il suo idolo Maradona. Quella partita lo salverà da un infausto destino. Di lì a poco, infatti, verrà raggiunto insieme al fratello dalla tragica notizia: Saverio e Maria sono morti per colpa di una stufa, avvelenati da una perdita di monossido di carbonio. Il ritratto di una Napoli gioiosa lascia spazio alla nuova triste realtà, deludente come non mai, da cui Fabietto deve difendersi. La salvezza la troverà nel più potente degli anestetizzanti, il cinema.
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