Un bravo artista copia, un grande artista ruba. Ma in realtà il concetto di 'replica', nella comunicazione politica, è tanto vecchio quanto abusato. In queste ore si sta discutendo molto della campagna del PD. Il fronte dem, che si è rivolto ad una nota agenzia di comunicazione, sta puntando molto sulla polarizzazione. Quando siamo in un periodo storico particolarmente delicato, con l'uscita dalla pandemia e la questione energetica che impatta quale eco del conflitto russo-ucraino, la campagna elettorale verso le politiche del 25 settembre sta diventando sempre più una questione di campo. Quasi come se fosse uno scontro tra buoni e cattivi. Il PD sta alimentando questa differenziazione manichea, e lo sta facendo mediante la campagna "Scegli".
Il web è impazzito tra risposte semiserie, rifacimenti, prese in giro e repliche. In ogni caso, la campagna del PD, è diventata virale. E con essa, l'intento alla base: la scelta di campo voluta da Letta, la necessità di scegliere, l'aut-aut.
Su Twitter in molti "accusano" il PD di aver scopiazzato una vecchia campagna di Joe Biden. Ma una cosa del genere è stata fatta già da Matteo Renzi con il suo famoso "Cambia verso". La realtà è che non ha senso scapicollarsi sul chi copia chi: la comunicazione funziona indipendentemente da questi aspetti. Se il messaggio trasmesse un'emozione, la forma passa in secondo piano.
È poi prassi non scritta seguire modelli già attuati in passato. Il "Make America Great Again"di Trump era stato già usato da Reagan; il "Si può fare" di Veltroni è un chiaro richiamo al "Yes we can" di Obama; l'estate scorsa Gualtieri a Roma si è lasciato ispirare, anche visivamente, dall'americana Occasio Cortez.
Il richiamo, spesso, è voluto. Serve a suggerire all'elettore una vicinanza di intenti, politici e comunicativi, con un personaggio politico precedente. Una similitudine politica che orienta l'ascoltatore, lo aiuta a cercare il senso del messaggio che si vuole far veicolare. Nulla di scandaloso, dunque, dietro la presunta "copia".