Un piano per proteggere il 30% della biodiversità della Terra, con 30 miliardi di dollari in aiuti annuali destinati ai Paesi in via di sviluppo: è parte dell'accordo stipulato dai Paesi di tutto il pianeta, intervenuti alla Cop15 in Canada. Durante la conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, a sancire l'approvazione del "patto per l'ambiente" è stato il ministro cinese dell'Ecologia e dell'Ambiente Huang Runqiu, in rappresentanza del suo paese. Si tratta di un accordo stretto al culmine di dieci giorni di negoziato a Montreal, a tratti anche molto tesi, che avevano richiesto ben quattro anni di lavoro: per questo è stato definito "storico" da alcuni rappresentanti.
Un patto rimasto in bilico fino all'ultimo, con attimi di tensione per via delle obiezioni di alcuni Paesi africani, tra cui i rappresentanti di Congo, Camerun e Uganda: il loro timore era che non fosse stato fatto abbastanza per le nazioni in via di sviluppo. Manca, infatti, uno specifico fondo a loro tutela. Tuttavia, intorno alle 4 del mattino, orario canadese, il vertice è andato ugualmente a buon fine.
"Allarmati dalla continua perdita di biodiversità e dalla minaccia che questa rappresenta per la natura e per il benessere umano", si legge nel testo dell'accordo, i Paesi partecipanti alla Cop15 si sono accordati su alcuni punti fondamentali. L'obiettivo sostanziale del testo è proteggere il 30% del Pianeta entro il 2030. Ad oggi, solo il 17% della Terra e l'8% del mare sono protetti: per alzare l'asticella saranno necessarie "reti di aree protette ecologicamente rappresentative, ben collegate e gestite in modo equo".
I Paesi più benestanti si impegneranno a fornire al Sud del mondo "almeno 20 miliardi di dollari all'anno entro il 2025 e almeno 30 miliardi di dollari all'anno entro il 2030". Si tratta rispettivamente del doppio e del triplo degli attuali aiuti internazionali a tutela della biodiversità. In questo modo i Paesi ricchi sono chiamati a fare di più per finanziare la difesa della natura.
Ribadito anche l'impegno a non limitarsi a proteggere aree indicate come riserve naturali, ma a ripristinare la biodiversità anche e soprattutto in aree urbane o degradate. A tal proposito, il testo chiede che "almeno il 30% degli ecosistemi terrestri, marini, costieri e marini degradati sia effettivamente ripristinato entro il 2030".
All'ordine del giorno anche discussioni sulla riduzione dell'impiego dei pesticidi, soprattutto tra i principali Paesi produttori agricoli, per abbassare i rischi sull'inquinamento, e sulla diminuzione della plastica in commercio. Altro punto riguarda il riconoscimento accordato ai popoli indigeni, che rappresentano solo il 5% della popolazione mondiale ma tutelano l'80% della biodiversità. L'accordo va dunque a proteggere i modelli di conservazione della natura indigeni, e ancor prima i loro diritti umani.
Tra le principali novità del nuovo accordo c'è un nuovo meccanismo di gestione, pianificazione e monitoraggio degli obiettivi per tutti i Paesi firmatari. Si tratta di un provvedimento figlio del fallimento del precedente accordo, siglato nel 2010 ad Aichi, in Giappone: in quell'occasione quasi nessuno degli obiettivi fissati è stato raggiunto entro il 2020. L'obiettivo è ora non commettere gli stessi errori: per questo potrebbero essere riviste in corso le strategie nazionali, se i Paesi non sono sulla strada giusta.