E pensare che un paio di mesi fa gli avevano preparato le valigie e lasciate alla sbarra di Appiano Gentile con Marotta l'unico a proteggerlo e tutelarlo dalle critiche. Simone Inzaghi ha incassato le critiche e ha risposto riportando l'Inter in finale di Champions League a tredici anni di distanza dal Triplete targato Josè Mourinho. Il tecnico di Piacenza avrà tanti difetti, è accusato di non offrire un gioco spettacolare e di lamentarsi degli arbitri, poi però ci sono i risultati che raccontano di una squadra nerazzurra ripartita alla grande. In campionato è tornata nei primi quattro posti ma soprattutto ha preparato alla perfezione le gare di Champions League. Ipoteca il quarto di finale col Benfica in Portogallo ma il vero capolavoro è contro il Milan. Una gara d'andata dominata dal primo secondo e chiusa 0-2 in trasferta, stasera replica nuovamente ma con saggezza e maturità. Simone Inzaghi va a giocarsi la finale a Istanbul, chiamatelo 'piangina' ma intanto lui arriva dove in tanti hanno fallito.
L'arbitro Clement Turpin mette in bocca il fischietto che suona tre volte a San Siro. L'Inter è in finale di Champions League e scatta la festa tra pubblico e giocatori, Simone Inzaghi rimane fermo per qualche istante e si gode il momento senza lasciarsi andare alle sue solite esultanze, pochi attimi con tante immagini che gli scorrono nella mente per ricapitolare un anno lungo e complicato ma oggi è arrivato il momento in cui può raccogliere quanto seminato togliendosi qualche sassolino dalla scarpa partendo dalla dirigenza e arrivando fino ad un ambiente che non ha mai accettato completamente l'addio di Antonio Conte.
Un allenatore che ha sempre messo i risultati davanti a tutto il resto probabilmente anche per un pò di sana ingenuità. Arrivava da Roma, una città non abituata a vincere e a lottare per grandi traguardi nonostante nel 2020 stava sfiorando il miracolo con la Lazio interrotto solo dal Covid. Ha vinto una Coppa Italia e due Supercoppe Italiane da quando è arrivato in nerazzurro, lo ha sempre rivendicato eppure sembravano non bastare. Poi il campionato che fino a marzo non è stato esaltante con il Napoli che era scappato via e la corsa scudetto mai aperta. Dopo il suicidio dell'anno scorso contro il Milan, fare un buon cammino in Champions era diventato l'obiettivo stagionale anche per salvare la panchina.
Alla Champions nessuno ci credeva davvero, probabilmente nemmeno lui. Un girone difficile con Bayern Monaco e Barcellona, troppo forti i bavaresi per impensierirli ma due grandi prove contro i catalani regalano il passaggio del turno come secondi. Poi ci pensa l'urna di Nyon a restituire la benevolenza. Dal bussolotto esce la migliore prima classificata nella fase a gironi, il Porto. Un pò di fortuna non guasta anche se poi nessuna partita è vinta prima di giocarla. A San Siro vince 1-0 con la rete di Lukaku nel finale e in Portogallo prepara una gara prettamente difensiva che funziona anche se con qualche brivido finale con il risultato fermo sullo 0-0. Il quarto di finale rimane in terra lusitana con il Benfica come avversario. A Lisbona altro gioiello tattico con lo 0-2 finale firmato Barella e ancora Lukaku. La gara di ritorno è normale amministrazione con un 3-3 che serve solo per cronaca
In semifinale nuovamente il Milan. Incontrato già due volte in campionato, con una vittoria a testa, e battuto in Supercoppa Italiana con un sonoro 3-0. La gara di andata vive una mezzora di totale assedio nerazzurro con Dzeko e Mkhitaryan che fissano il risultato per 0-2 ma poteva essere ben più largo. Si arriva a stasera. Non capita spesso di giocarsi una finale e le gambe potevano tremare. Si affida ai suoi fedelissimi come Acerbi al centro della difesa, tanto voluto in estate, Çalhanoğlu in mezzo al campo e Dzeko davanti. Sa che dovrà contenere il tentativo iniziale rossonero senza però indietreggiare, la squadra esegue alla perfezione il copione fino alla rete di Lautaro Martinez che fa scoppiare il San Siro nerazzurro.
Ora l'ultimo sforzo a Istanbul contro una fra Real Madrid o Manchester City. Due corazzate ma a novanta minuti dalla coppa è lecito crederci. Simone Inzaghi ha sempre creduto nel suo gruppo, lui che ha costruito la sua carriera nella gestione dello spogliatoio isolandolo dalle bufere esterne nei momenti di difficoltà. Ha resistito alle feroci critiche della piazza per le tante, troppe, sconfitte in campionato e ad una società che avrebbe cambiato guida tecnica volentieri senza i problemi economici. Solo Marotta ha continuato a proteggerlo e a credere nel suo progetto tattico. Oggi Inzaghi raccoglie quanto ha seminato con la speranza che la pesca possa essere davvero grossa la sera del 10 giugno a Istanbul.