Specie marine non indigene nei mari europei: una minaccia per la biodiversità.
Negli ultimi decenni, il numero di specie non indigene (NIS) presenti nelle acque europee è in costante aumento.
Queste specie, introdotte da diverse fonti, minacciano la biodiversità marina e pongono seri rischi per la salute umana, animale e l'ecosistema in generale.
In questo articolo, esploreremo le misure adottate dall'Unione Europea per affrontare questa problematica.
Le specie non indigene sono organismi che sono stati introdotti in un ambiente diverso dal loro habitat naturale attraverso diverse vie,
come il trasporto marittimo e le acque non UE limitrofe.
Queste specie possono diventare invasive e diffondersi rapidamente, mettendo a rischio la biodiversità marina.
Nel corso degli anni, il numero di nuove introduzioni è aumentato significativamente, con il Mar Mediterraneo che mostra un numero particolarmente elevato di nuove specie.
Le specie non indigene possono avere impatti significativi sulla biodiversità e sugli ecosistemi marini.
In condizioni favorevoli, queste specie possono proliferare e competere con le specie autoctone per risorse come il cibo e lo spazio.
Possono anche trasmettere malattie e parassiti che minacciano la salute di altre specie marine e persino degli esseri umani.
Attualmente, circa 87 specie non indigene sono considerate invasive nei mari europei.
Per affrontare questa minaccia, l'Unione Europea ha adottato diverse misure legislative e politiche.
Il regolamento (UE) n. 1143/2014 stabilisce norme per prevenire, minimizzare e mitigare l'impatto negativo delle specie invasive sulla biodiversità.
Inoltre, la direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino (MSFD) mira a raggiungere un buono stato ambientale per le acque marine dell'UE, includendo la prevenzione dell'alterazione degli ecosistemi da parte delle specie non indigene.
Gli Stati membri sono tenuti a stabilire soglie per l'introduzione di queste specie.
Fino al 2020, sono state registrate almeno 804 specie non indigene nelle acque marine europee, con la maggior parte delle introduzioni risalenti al periodo dal 1970.
La maggioranza di queste specie sono invertebrati, seguiti dai produttori primari e dai vertebrati.
Le regioni mediterranee e dell'Atlantico nord-orientale hanno mostrato un aumento significativo del numero di nuove specie negli ultimi anni.
Le principali vie di introduzione delle specie non indigene sono il trasferimento attraverso le navi marittime, seguito dalle introduzioni dalle acque non UE limitrofe e dal trasporto-contaminante involontario.
È importante monitorare queste vie di diffusione e adottare misure preventive per ridurre al minimo i rischi futuri.
La gestione delle specie non indigene rappresenta una sfida cruciale per la conservazione della biodiversità marina.
Le specie non indigene possono avere un impatto negativo sui delicati equilibri degli ecosistemi marini, mettendo a rischio la sopravvivenza delle specie autoctone.
Pertanto, è fondamentale adottare misure di gestione efficaci per prevenire l'introduzione e la diffusione delle specie non indigene.
Queste misure possono includere l'implementazione di controlli più rigorosi sui trasporti marittimi, la sensibilizzazione e l'educazione del pubblico sulle specie non indigene e l'implementazione di programmi di monitoraggio e controllo delle popolazioni invasive.
Attraverso una gestione adeguata, possiamo preservare la ricchezza e l'equilibrio dei mari europei, proteggendo la biodiversità e garantendo un futuro sostenibile per le generazioni a venire.
(Approfondisci il tema della biodiversità al seguente articolo)
Nonostante le misure adottate, è necessario continuare a implementare azioni per ridurre i rischi delle nuove introduzioni e diffusione delle specie non indigene.
È fondamentale acquisire una maggiore conoscenza dell'impatto di queste specie sulla biodiversità e sugli ecosistemi, soprattutto considerando il cambiamento climatico.
Gli inventari aggiornati e la convalida dei dati sono essenziali per monitorare l'efficacia delle politiche in atto.