Una protesta riaccende la miccia nei Balcani. Il Kosovo è a un passo dall'esplosione, se non si interviene per mantenere la pace. Ma lo Stato vuole la sua indipendenza. Nella Regione c'è una forte presenza della Nato, con un contingente italiano. Ma è anche verosimile pensare che la Russia di Putin abbia i suoi interessi e il timore è che il Balcani si trasformino in una nuova Ucraina. Il generale Leonardo Tricarico, già Capo di stato maggiore dell'Aeronautica Militare, a Tag24 parla della situazione nei Balcani, che non esclude l'uso della forza bruta per calmare gli animi.
Generale, in Kosovo torna alta la tensione, dopo che sono stati feriti diversi militari della Nato, fra cui 11 italiani. Cosa sta succedendo?
"La situazione ha avuto questa deflagrazione, era nell’aria. Mancava solo il pretesto. Da sempre la tensione è molto alta. I motivi sono molteplici. Difficilmente ci si può porre riparo, perché riguardano le cose più disparate. Questa volta era l’insediamento del sindaco, ma ce ne sono altre possibili cause per far una esplosione del conflitto. C’è da sperare che prevalga, da parte di tutti, una moderazione, una de-escalation, e che si ritorni a una situazione di pacificazione".
Qual è il ruolo dell’Italia?
"Il ruolo dell’Italia è centrale, forse più lì che altrove, dove abbiamo una forte presenza della Nato di controllo che gli accordi vengano rispettati. Naturalmente la concertazione delle forze è massima nella zona dove ci sono i serbi. Cioè nei comuni dove sta succedendo quello che abbiamo visto".
Nel 2008 il Kosovo dichiarò, unilateralmente, l'indipendenza, non riconosciuta dalla Serbia. Nel 2021 l'indipendenza era riconosciuta da 101 Stati dell'Onu, fra cui l'Italia...
"È quello che vogliono da sempre. Le diplomazie si metteranno a lavoro per capire se c’è una configurazione statuale che possa andare bene per tutti. Tutto nasce dopo la fine del bombardamento e la liberazione del Kosovo nel 1999, con la risoluzione 1244. Quella risoluzione che poneva fine al conflitto, istituiva questa forza della Nato, dove ci sono gli italiani, e istituiva anche un governatorato Onu. Stabiliva che il Kosovo dovesse avere un’’autonomia sostanziale’. Questo definisce la sua autonomia in maniera molto marchiata. Da lì è chiaro che il passo successivo nella considerazione kosovara è stato quello dell’indipendenza. Però ora siamo arrivato a questo. Lì di fondo c’è un odio etnico, che riguarda due popolazioni per nulla tolleranti, per nulla flessibili o pacifiche. Ben poco si può fare. Separarle fisicamente non sarà semplice. Bisognerà lavorare molto e tutti insieme. È difficile capire se saremo tutti uniti. Teniamo presente che c’è una cinghia di trasmissione molto forte, come lo era prima ma a maggior ragione oggi, fra la Russia di Putin e la Serbia".
C'è un rischio nel Balcani?
"Il rischio è che la Russia soffi sul fuoco e che addirittura abbia agevolato o promosso questa esplosione. Non lo escluderei. Certo non ci sono i fatti, non c’è nessuna indicazione che indichi questo, però non me ne stupirei. Come può fare in altre regioni, dove ha il suo radicamento. Penso alla Libia. Sono gli effetti collaterali anche della guerra in Ucraina che bisognerà tenere ben presente soprattutto per chi ancora oggi si ostina a non voler fare una pace in Ucraina".
Se dovessi aprirsi un altro fronte nel Kosovo, la guerra si avvicinerebbe sempre di più all’Italia e al cuore d’Europa.
È così. Nato e Onu sono i garanti del mantenimento di questa condizione nei Balcani. Se viene violata, non è che la Nato possa fuggire da questa responsabilità. Una estrema conseguenza potrebbe diventare ancora una volta un intervento armato della Nato per garantire e riportare le condizioni di pace. Bisogna vedere fase per fase e capire cosa si può fare. Adesso la parola la ha la diplomazia. Se poi dovesse fallire, si passerà alle armi che serviranno per domesticare chi non vuole mantenere o raggiungere queste condizioni di pace. Ma bisogna fare prima la pace in Russia e in Ucraina. Questo è ancora più urgente".
In Ucraina però la situazione è molto delicata
"Lì la pace non la vuole nessuno. A chiacchiere la vogliono tutti, ai fatti nessuno. Più che non volerla, nessuno si adopera affinché sia possibile. Tranne il Vaticano ultimamente. Però siamo a un tentativo, nobile, che può comportare qualche risultato ma da solo non un negoziato".