Al termine della sua requisitoria, il sostituto procuratore del tribunale di Genova Paola Crispo ha chiesto per Alberto Scagni, il 42enne finito a processo per aver ucciso la sorella Alice, il massimo della pena: l'ergastolo. L'uomo è accusato di omicidio volontario pluriaggravato e porto abusivo d'arma. Secondo il pm agì
Le aggravanti riconosciute al 42enne sono diverse: quella della premeditazione, innanzitutto; ma anche quelle della crudeltà e del mezzo insidioso, il coltello usato per uccidere la sorella, nascosto in un sacchetto di plastica e quindi non visibile alla vittima. In pratica, secondo quanto ricostruito dalla pm nel corso della requisitoria durata oltre un'ora, l'uomo avrebbe agito pienamente consapevole di ciò che stava facendo.
Non è un caso che fosse uscito di casa almeno due ore prima del delitto, lasciando il cellulare nella sua stanza da letto. E per di più armato. Era totalmente capace, secondo lei, di intendere e di volere. Il perito nominato dal gip, Elvezio Pirfo, era arrivato a una conclusione diversa, giudicandolo semi infermo di mente ma capace di stare in giudizio. La difesa, a sua volta, aveva parlato di "totale infermità" e non imputabilità dell'indagato per via dei suoi problemi psichiatrici.
I fatti risalgono alla sera del primo maggio 2022. Alice era uscita di casa per portare fuori il cane quando, a pochi metri dal portone dell'abitazione in cui viveva a Quinto, a Genova, si era imbattuta nel fratello Alberto. Da mesi i loro rapporti si erano fatti complicati: il 42enne, con alle spalle diversi problemi psichiatrici, rifiutava da tempo le cure, scagliandosi contro i familiari che provavano a convincerlo di farsi vedere e si rifiutavano di accordargli i prestiti diventati sempre più insistenti.
Quella sera con sé aveva portato un coltello. Lo stesso con cui, nel corso di una lite, l'avrebbe poi colpita per 24 volte, uccidendola sotto gli occhi inermi del marito che, dopo aver sentito le sue urla, si era affacciato dal balcone per capire cosa stesse succedendo. I genitori avevano parlato da subito di una "tragedia annunciata": Alberto era pericoloso e loro avevano cercato in tutti i modi di dirlo alle autorità, arrivando addirittura a chiedere ai carabinieri di inviare una pattuglia sotto casa della figlia, per precauzione.
Non era la prima volta che Alberto si rivolgeva con fare minaccioso a una persona della sua famiglia: il 29 aprile precedente aveva incendiato la porta di casa della nonna; il 30 aprile e il 1 maggio aveva minacciato sia lei che i suoi genitori di far loro del male.
Se fossero stati ascoltati forse Alice sarebbe ancora viva. Per questo la Procura sta anche indagando sul ruolo giocato in questa storia dalle autorità, per capire se abbiano sottovalutato i ripetuti appelli ricevuti da parte della famiglia di Alice e Alberto.
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