Negli ultimi giorni hanno destato grande scalpore le vicende dello stupro di gruppo di Torino e del suicidio, a margine di una Live, del noto tiktoker Vincent Plicchi, che non ha retto alla gogna mediatica seguita ad una notizia infamante e falsa fatta girare ad arte su di lui.
Durante la trasmissione di Radio Cusano Campus AAA stabilità cercasi, di cui sono ospite fissa, la constatazione che quelli in oggetto non fossero che gli ultimi episodi di storie sempre più frequenti nella cronaca, ha motivato la giornalista Livia Ventimiglia a chiedermi di individuarne ed analizzarne la genesi, mentre il conduttore Simone Lijoi mi ha sollecitata a confermare o meno se il collegamento fondamentale tra le due vicende fosse il contesto giovanile in cui erano maturate.
Indubbiamente, ciò che accomuna i due fatti è la giovane età dei protagonisti compresa tra i 17 ed i 23 anni, ma anche la crudele superficialità con cui alcuni di loro, col concorso esterno di altri nel caso di Plicchi, hanno operato in danno delle due vittime senza valutare le conseguenze terribili di azioni che sono state orientate dal diktat del così fan tutti.
Nello stupro di Torino, infatti, uno degli imputati ha riferito agli inquirenti: Lo facevano tutti e l’ho fatto anche io, mentre nel caso di Vincent Plicchi alcuni influencer italiani hanno riferito al padre del ragazzo di essersi sentiti costretti ad attaccarlo, come facevano gli altri, per non perdere followers.
Terribile, da parte di chi ha agito contro le vittime, la percezione dell’altro come fosse una cosa, secondo il fenomeno della reificazione dell’individuo, caratteristico della società narcisistica dell’immagine in cui viviamo.
Dunque, la ragazza è stata considerata un oggetto di piacere e Vincent un simulacro di successo da abbattere e conseguentemente sono stati trattati come cose: la giovane ridotta ad un corpo inerme quasi fosse una bambola di pezza e Vincent degradato a mostro attraverso la veicolazione di una accusa falsa ed infamante.
Centrale si è rivelata poi la logica del branco che lega lo stupro di gruppo al cyberbullismo, con le differenze che attengono alle dimensioni del reale e del virtuale, ma che comunque fa percepire la propria responsabilità nell’azione compiuta, mimetizzata se non annullata all’interno del gruppo stesso.
Perché è importante porre l’accento e lanciare l’allarme circa queste dinamiche? Perché sono sempre di più i ragazzi che trovano nel gruppo dei pari o nelle community riconoscimento e senso di appartenenza che non sentono nelle proprie famiglie dove vengono spesso lasciati in stato di abbandono educativo e/o sostanziale. Diviene dunque facile parlare alla pancia di giovani dominati dalle pulsioni, che non hanno maturato un senso morale né critico circa ciò a cui vengono chiamati a partecipare, con l’ovvia conseguenza del moltiplicarsi di fatti delittuosi ad età sempre più precoci.
Dato lo scenario che ci si para davanti, come si può imboccare la giusta direzione? Mi ha domandato Livia Ventimiglia.
Responsabilizzando i genitori circa la necessità e l’urgenza di tornare ad occuparsi dei figli educandoli autorevolmente, costituendosi per loro quale riferimento, dando il buon esempio.
Purtroppo, basta guardarsi attorno per constatare che la genesi di certo male risieda per troppa parte nei comportamenti degli adulti, tanto che si può parlare, senza timore di smentita, di società bulla
di Alexia Di Filippo psicologa e psicoterapeuta