08 Apr, 2024 - 11:45

Recensione "La Seconda Vita": il regista Vito Palmieri torna in sala con una drammatica pellicola d'essai

Recensione "La Seconda Vita": il regista Vito Palmieri torna in sala con una drammatica pellicola d'essai

Lo scorso 4 aprile è uscito al cinema "La Seconda Vita", il nuovo film di Vito Palmieri, che affronta il complicato universo nel quale vive un ex detenuto che deve rimettere insieme i pezzi della propria esistenza una volta scontata la sua condanna. Questa pellicola d'essai è stata presentata in anteprima al Bif&st 2024 - Bari International Film Festival e ci racconta una storia di dolore, espiazione e tormento con la presenza della bravissima Marianna Fontana nella parte della protagonista. Tra gli altri interpreti troviamo Giovanni Anzaldo, Lorenzo Gioielli e Nicola Rignanese.

"La Seconda Vita", recensione

Anna (Marianna Fontana) ha circa trent’anni, è timida, schiva, parla poco, difficilmente guarda gli altri dritto negli occhi come se stesse scappando da qualcosa. Ha gli occhi scuri, piccoli e tondi come due bottoncini, una chioma liscia di capelli bruni che le arrivano poco sotto le spalle, le labbra a forma di cuore e il viso squadrato. Ha l’espressione triste e assorta, lo sguardo sfuggente tipico di chi è costantemente inseguito dalla vergogna. Si è appena trasferita in un borgo silente in provincia di Pisa: Peccioli è un paese piccino, tranquillo, circondato da infinite distese di terra e prati verdi. Un luogo immerso in un silenzio implacabile che a volte ti avvolge come una calda coperta per concederti un po’ di pace e a volte ti schiaffeggia, togliendoti ogni distrazione, non permettendoti di scappare dal peso opprimente dei tuoi pensieri più tormentati.

Eppure Anna ha scelto proprio questo luogo così piccolo, dove è facilissimo farsi notare, per fuggire da se stessa. Trova subito lavoro nella biblioteca comunale alle dipendenze del direttore Marco (Lorenzo Gioielli), un uomo che ha superato la sessantina e che, viscido e subdolo, tenta lascivamente di insinuarsi nell’intimità di lei per ottenere, con fare di ricatto, un ardore carnale che non gli spetta. Quell’uomo così grande, che potrebbe esserle padre, coi modi infantili da bambino viziato, non riesce proprio a digerire il rifiuto: deve averla a tutti i costi, anche senza il suo consenso. Le sta appiccato quasi come una seconda pelle, si avvicina più di quanto dovrebbe al punto da farle percepire tutto il peso del suo corpo rugoso, nonostante abbia i vestiti addosso, con una morbosità nauseante che la stomaca.
È difficile tenere duro, ma i soldi le servono e il lavoro pure. Così lo evita, gli sfugge, si chiude nella stanza nella quale lavora come archivista, rifiuta ogni regalo e scansa le sue attenzioni sperando che capisca.

Nel frattempo incrocia per caso un giovane ragazzo dall’aria impacciata: si chiama Antonio (Giovanni Anzaldo) e lavora come saldatore in paese insieme a suo padre (Nicola Rignanese).
Antonio non ha la mamma, vive da solo in campagna insieme al papà e cena tutte le sere nel ristorante più frequentato di Peccioli. Anche lui ha un carattere introverso, non socializza granché, sembra quasi avere paura degli altri. Ma ha i modi gentili e la faccia buona, nascosta a metà da una fitta cascata di riccioli neri. Ha voglia di una donna, lo ferisce il desiderio bruciante di sentirne il calore e la frustrazione di non riuscire a trovarlo, ma con passione, mai con violenza. Quando incrocia lo sguardo di Anna si sente quasi rapito, come se avesse istintivamente percepito la somiglianza di chi parla la tua stessa lingua in un mondo di gente che non ti capisce. Goffo e imbranato, una sera tenta un approccio e incredibilmente funziona: ed è lì che avrà inizio una dolce relazione impacciata tra due anime incomprese e taciturne che fanno fatica a mostrarsi apertamente agli altri.

Ma questa timida unione esitante scatenerà le ire e le gelosie inappropriate del capo di lei, che pur di non lasciarla a qualcun altro si vendicherà rivelando una verità tanto celata sul suo passato.
Sì, perché Anna fugge veramente da qualcosa: custodisce un oscuro segreto che non riesce proprio a rivelare a nessuno.

"La Seconda Vita", critica

Vito Palmieri porta al cinema La Seconda Vita una dilaniante pellicola d’essai di grande spessore.
Questa storia affronta un interrogativo assai spinoso: un ex detenuto che ha scontato la sua condanna ha diritto all’opportunità di ricostruire la sua vita corrotta dall’onere della colpevolezza? O quell’orrenda macchia che fa tanta paura da divenire una vergogna impronunciabile, è una colpa troppo imponente per avere la facoltà di accedere a una seconda opportunità?

In questo film non si fanno sconti, il regista non ci concede la possibilità di trovare una spiegazione accettabile per il crimine commesso dalla protagonista; non ci sono scusanti, quel delitto è davvero tra i peggiori che qualcuno possa compiere e no, non è stato un errore e non ci sono circostanze attenuanti che possano farci provare meno rabbia. Ed è proprio questo il punto: possiamo essere capaci di accettare che un soggetto totalmente colpevole del reato a lui ascritto ricominci a vivere andando avanti?  E siamo sicuri che ognuno di noi abbia realmente il diritto di decidere se una persona può essere perdonata oppure no?

Ammetto che sia difficile, complesso, quasi impensabile tenere a bada la propria morale, ma è esattamente qui che Vito Palmieri colpisce nel segno riuscendo a mostrarci l’inferno in cui vive chi è responsabile di un misfatto facendocelo vedere, quest’ultimo, non più come un mostro inavvicinabile, ma come un individuo ingabbiato nella complessità delle emozioni umane. Certo, è sicuramente più facile riuscire in questo arduo compito scegliendo un’attrice come Marianna Fontana, la protagonista, che con le sue notevoli capacità attoriali ci rende impossibile non provare empatia muovendoci a compassione.
Ma questo è un film che parla un linguaggio insolito e maledettamente necessario, soprattutto nel periodo storico in cui viviamo dove andiamo tutti alla continua ricerca di un colpevole da lapidare in pubblico, per poi passare al prossimo, e a un altro e a un altro ancora per soddisfare questa nostra fame continua di giustizialismo di piazza. È una storia che ci mette alla prova, ci chiede di spingerci oltre il confine dei nostri limiti per vincere il pregiudizio, passando attraverso l’espiazione per giungere, alla fine, al perdono e alla redenzione.
Ottima la recitazione di tutti gli attori. A parer mio questo lungometraggio merita quattro stelle e mezzo su cinque.

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Marta Micales
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