Al termine di qualche ora di camera di consiglio i giudici della Corte d'Assise d'Appello di Genova hanno confermato per Alberto Scagni, imputato per l'omicidio della sorella Alice, consumatosi a Quinto il primo maggio del 2022, la sentenza di condanna a 24 anni e 6 mesi di reclusione emessa dai giudici di primo grado.
L'accusa, rappresentata dal sostituto procuratore generale Ezio Castaldi, aveva chiesto che il 42enne fosse condannato al massimo della pena, l'ergastolo, sostenendo che, quando si macchiò dell'omicidio della sorella Alice, fosse - nonostante i suoi problemi psichici - totalmente capace di intendere e di volere e non, come emerso al termine del processo di primo grado, seminfermo di mente.
Alle stesse conclusioni era arrivato l'avvocato di parte civile Andrea Vernazza, che assiste il marito della vittima: come il primo, anche il legale aveva chiesto l'ergastolo, contestando al 42enne non solo le aggravanti della premeditazione e del vincolo parentale già riconosciutegli, ma anche quelle della crudeltà, dei futili motivi e del mezzo insidioso, per il fatto che avesse nascosto il coltello usato per colpire la sorella in un sacchetto di plastica, rendendolo, ai suoi occhi, non immediatamente visibile.
La difesa, rappresentata dall'avvocato Alberto Caselli Lapeschi, aveva chiesto, al contrario, il riconoscimento del rito abbreviato e, di conseguenza, uno sconto di pena: stando alla sua ricostruzione, Scagni agì senza aver premeditato il delitto, in stato di seminfermità, e ora avrebbe meritato di essere "curato, ancora prima che recluso".
Alla fine i giudici hanno confermato la decisione della Corte d'Assise. Al momento della lettura della sentenza, Scagni, che dopo aver subito una pesante aggressione da parte di due detenuti a Sanremo e aver trascorso diverso tempo in coma farmacologico è stato trasferito nel carcere di Torino, era presente in aula, come lo erano i suoi genitori Antonella Zarri e Graziano Scagni.
È stato ufficialmente archivato, intanto, il filone bis dell'inchiesta riguardante l'omicidio della 34enne. Inchiesta relativa alle omissioni di cui, stando alle denunce dei genitori, due poliziotti e una dottoressa del Centro di salute mentale della Asl locale si macchiarono quando, pur essendo venuti a conoscenza della pericolosità del 42enne, non agirono per fermarlo e per prenderlo in cura.
Il motivo? Secondo il giudice, nonostante ci fossero state delle segnalazioni, da parte dei familiari di Scagni non era stata presentata alcuna denuncia formale, quindi sia i poliziotti che la dottoressa (in capo alla quale sono state riconosciute, comunque, delle negligenze) non potevano sapere che avrebbe potuto fare del male a qualcuno, nello specifico alla sorella.
Una ricostruzione smentita dall'avvocato Fabio Anselmo, che assiste i coniugi Scagni e che, in un'intervista a Tag24, negli scorsi giorni si è detto pronto a ricorrere alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo: secondo il legale tutti e tre avrebbero avuto un operato "gravemente omissivo".
I poliziotti avrebbero sottovalutato, ad esempio, le telefonate in cui il papà di Alberto e Alice, nelle ore precedenti all'omicidio, li avvertiva che il 42enne aveva minacciato lui e il resto dei familiari di morte in caso non gli avessero dato i soldi che lui aveva chiesto loro (dopo che, il giorno prima, aveva bruciato il portone d'ingresso dell'appartamento della nonna, richiedendo l'intervento delle forze dell'ordine).
Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, la sera del primo maggio Scagni si sarebbe recato sotto l'abitazione in cui la sorella viveva insieme al marito e al figlio e avrebbe aspettato che la stessa scendesse per portare a spasso il cane, aggredendola con un coltello che aveva portato con sé dopo averla sorpresa fino a lasciarla a terra inerme. Poco dopo era stato fermato dagli agenti giunti sul posto; per Alice a quel punto non c'era già più niente da fare.