Luca Ventre aveva 35 anni quando, il primo gennaio del 2021, fu strangolato da un poliziotto di guardia all'ambasciata italiana di Montevideo, in Uruguay, dopo aver scavalcato il cancello dell'edificio per chiedere protezione da non ben identificate minacce. La sua storia, ancora in parte irrisolta, è stata accostata da molti a quella di George Floyd, il cittadino afroamericano che appena un anno prima era morto, come lui, sotto la stretta morsa di un agente.
Al poliziotto che lo aveva braccato dopo il suo ingresso in ambasciata, Ruben Eduardo Dos Santos Ruiz, Luca Ventre aveva detto di non riuscire a respirare, proprio come Floyd, che per ben 20 volte, secondo le ricostruzioni, si era riferito all'agente che lo avrebbe soffocato con la frase I can't breathe.
Entrambi sono morti dopo essere stati fermati: originario di Senise, in Basilicata, l'imprenditore italiano aveva 35 anni. Alle prime luci dell'alba del 1 gennaio del 2021 si era recato nei pressi dell'ambasciata italiana a Montevideo, dove viveva da anni insieme ad alcuni familiari, e aveva chiesto protezione perché "si sentiva minacciato".
Da chi o da che cosa non è mai stato chiarito: dopo aver citofonato ed essere stato ignorato, aveva deciso di scavalcare il cancello d'ingresso della struttura, venendo bloccato da un poliziotto di guardia armato che lo aveva stretto in una morsa sotto un occhio, di fatto, infallibile: quello delle telecamere di videosorveglianza.
I filmati avrebbero fatto il giro del mondo: poche ore dopo, infatti, il 35enne era stato dichiarato morto dopo essere stato soccorso e trasferito in un ospedale locale senza che la famiglia fosse avvertita di ciò che stava succedendo. Avrebbero appreso tutto da una chiamata anonima.
L'autopsia effettuata sul posto stabilì che ad uccidere il 35enne era stata la sua condizione di "eccitazione psicomotoria associata al consumo di cocaina". Quella eseguita in Italia arrivò a una conclusione diversa, stabilì cioè che Luca era "morto per asfissia meccanica violenta ed esterna per una prolungata costrizione del collo": per strangolamento, in pratica.
Al termine delle indagini il pm Sergio Colaiocco aveva dichiarato di essere costretto a chiedere l'archiviazione della posizione del poliziotto indagato per omicidio preterintenzionale - nonostante le prove raccolte a suo carico -, per improcedibilità, vista la sua assenza sul territorio nazionale.
Il gip del tribunale di Roma di recente ha rigettato l'istanza - a cui i familiari dell'uomo, assistiti dall'avvocato Fabio Anselmo, si erano opposti con convinzione - disponendo nuovi accertamenti all'interno della stessa ambasciata, come l'acquisizione dei tabulati telefonici.
Ne parlerà stasera, 17 aprile, la trasmissione televisiva "Chi l'ha visto?". Il programma, condotto da Federica Sciarelli su Rai 3, approfondirà anche il caso di Valeria Pandolfo, morta in circostanze mai chiarite a Prata Sannita, nel Casertano, nel maggio del 2021.
Il compagno Marcus, che ne mostrò il corpo senza vita in una videochiamata su Whatsapp - e che al momento è imputato per stalking in un procedimento scaturito dalle denunce della madre della giovane - avrebbe scritto in una chat di averla avvelenata con delle sostanze anti-topo per poi sostenere che si trattava "semplicemente di uno scherzo".
È possibile che stia nascondendo la verità?, ci si chiede. Tag24 ne aveva parlato con l'avvocato Gabriella Mazzone, che assiste la famiglia della vittima nel suo cammino, per certi versi tortuoso, verso la giustizia.