Il caso del popolo degli uiguri - minoranza etnica di religione mussulmana che abita il nordovest della Cina - è da anni salito agli onori della cronaca per poi essere dimenticato per molto tempo: quello portato avanti da Pechino è un genocidio? Il sinologo Maurizio Scarpari spiega a Tag24 cosa sta succedendo nel nordovest del Paese e i metodi con cui viene portato avanti questo appiattimento culturale progressivo.
Campi di rieducazione, armonizzazione etnica e culturale e altre politiche già viste in passato nel contesto del Tibet. Quello che sta succedendo in Xinjiang è un copione scritto che ha destato tantissimo scalpore in Occidente. La Cina ha saputo 'oscurare' le sue azioni anche 'strumentalizzando' le organizzazioni internazionali.
Storia sugli uiguri non troppo dissimili da quelle raccontate dalla portavoce del World Uyghur Congress Zumretay Arkin arrivano anche da uno dei più importanti sinologi italiani, Maurizio Scarpari. L'ex docente di Lingua Cinese della Ca' Foscari parla a Tag24 di come Pechino abbia portato avanti negli anni politiche sempre più severe verso la minoranza che abita il nordovest della Cina.
D: Cosa sta succedendo in questo momento nello Xinjiang? Ci sono evoluzioni rispetto al passato recente?
R: "Non credo sia cambiato granché. Si tratta di una regione periferica impossibile da visitare in maniera indipendente ed è difficile ricevere notizie non filtrate dal governo cinese. La politica di Pechino non è cambiata verso gli uiguri..."
D: Come sono diventate sempre più stringenti le politiche contro gli uiguri?
R: "Si tratta di una situazione vista per certi versi in Tibet e in Mongolia. La Cina è costituita da 56 etnie diverse e quella principale è la Han e copre il 92% della popolazione, le altre 55 costituiscono un 8%. Queste minoranze non sono trattate con le dovute attenzione. Lo Xinjiang è particolare perché fondamentale per la Via della Seta".
"Nell'era di Xi Jinping, con l'avvio di questo progetto egemonico globale, è importante che queste vie del commercio non siano oggetto di attacchi terroristici. Dopo alcuni incidenti in regioni limitrofe c'è stata una stretta sempre più forte fino alla stretta dei 'campi vocazionali' dove vengono rinchiusi gruppi etnici di religione mussulmana. Lì vengono 'rieducati' ovvero "armonizzati".
D: Si può parlare di sostituzione etnica?
R: "Da una parte c'è un aumento di popolazione Han che viene trasferita in Xinjiang che arriva a diventare prevalente e a controllare i centri di potere - un ricollocamento su base etnica, non sostituzione etnica -, dall'altra parte viene scoraggiato lo sviluppo della popolazione locale. Ci sono controlli per le nascite, aborti e tante misure per evitare che cresca la popolazione..."
D: E per quanto riguarda i campi di rieducazione?
R: "In Cina conta poco il concetto di 'individuo' a favore della 'collettività'. Il diritto individuale che per noi è inviolabile è del tutto secondario: questo ha sempre determinato nella storia cinese una strutturazione della società in modo gerarchico. Quando noi leggiamo nei testi filosofici dell'arte di governo che l'armonia è la virtù principale con cui un sovrano deve governare un Paese dobbiamo sapere che l'armonia è intesa come indottrinamento che tende a rendere omogeneo il tutto. Una situazione di armonia rispetto al concetto di potere gerarchico."
"Da qui vediamo la struttura del potere cinese. I gruppi etnici mussulmani sono tenuti chiusi nei campi per questa concezione...è un metodo tradizionale tramite il quale si è sempre gestito il potere in Cina. Si tenta di cambiare abitudini ed usanze, ecco perché si parla di genocidio culturale: s'impone un altro modello di vita che non appartiene a questi gruppi etnici".
D: Esiste un concreto rischio di radicalizzazione dovuto anche alla vicinanza con l'Afghanistan?
R: "Il rischio non so se esiste veramente...queste comunità sono isolate. Dal punto di vista politico si teme questa deriva: questa è una zona di confine turcofona, c'è il timore di contaminazioni che però non dovrebbero verificarsi perché lo Xinjiang è stato blindato. Gli Stati a maggioranza mussulmana spesso sono bloccati dalla Cina con rapporti di tipo commerciale ed economico. I cinesi attraverso la loro potenza economica condizionano anche i legami tra i mussulmani dello Xinjiang e il resto del mondo. Basti pensare al rapporto Bachelet all'Onu..."
D: In che senso?
R: "Si tratta dell'accusa più interessante sul caso degli uiguri, fa capire come il governo cinese gestisce le questioni dall'esterno. Il rapporto Bachelet è stato redatto da una Commissione delle NU per comprendere meglio la situazione: era infatti difficile avere informazioni sullo Xinjiang. La presidente della Commissione era l'Alto Commissario per i Diritti dell'Onu Michelle Bachelet, all'interno del rapporto emergono crimini contro l'umanità e prove di detenzione e discriminazione o trattamenti medici forzati non solo nei confronti degli uiguri".
"La Cina che all'Onu è potente ha fatto pressioni enormi perché il rapporto Bachelet non venisse reso noto. Bachelet nel 2022 ha terminato il mandato e 13 minuti prima ha depositato il rapporto per non essere travolta dalle pressioni cinesi. Le proteste non sono mancate ma si è dovuto decidere di portarlo in discussione al Consiglio dell'Onu, la Cina ha fatto un lavoro di lobbying. Il 6 ottobre si sarebbe dovuto discutere della richiesta di discussione del Rapporto al Consiglio. La votazione è stata la seguente: 19 contrari, 19 a favore ed 11 astensioni. La richiesta di discussione è stata bocciata."
D: Chi sono stati i contrari in quel caso?
R: "Sono tutti Paesi in via di sviluppo del mondo a reddito bassissimo che hanno votato a favore della Cina. Tutti Stati del Sud globale, anche Paesi come Pakistan ed Indonesia che avrebbero dovuto votare a favore per vicinanza ai mussulmani. Eppure hanno legami stretti con la Cina ed hanno votato contro esprimendo però solidarietà agli uiguri. Una posizione ambigua ed ipocrita".
"Il rapporto non è stato più discusso e al suo interno - ci tengo a precisarlo - non compare mai la parola 'genocidio'. Si tratta ugualmente di una grave denuncia."
D: Cos'hanno in comune gli Stati contrari?
R: "Buona parte hanno debiti con la Cina o li stanno per sottoscrivere, sono 'ricattati' dal punto di vista economico. Pechino non si è sentita di vedere come sarebbe andata a finire in una successiva votazione perché temeva di non formare una maggioranza...la Cina si muove negli organismi internazionale in modo strumentale e selettivo. Il fatto ha creato talmente clamore da portare ad una denuncia da parte di Amnesty".
D: Non c'è il rischio che i comportamenti di Pechino provochino uno sfaldamento dello Stato a causa delle tensioni etniche?
R: "No, gli Han restano il 92% della popolazione....l'altro 8% è insignificante per il resto. Pensiamo al Tibet che per anni è stato al centro dei dibattiti: quest'area è quasi completamente 'armonizzata'. Le generazioni cinesi arrivate per omogeneizzare la regione sono ormai cresciute e i nativi sono lasciati nella loro povertà. Non si tratta di integrazione ma di sovrapposizione, la politica del governo è stata quella di travolgere le etnie come ai tempi dell'Impero cinese. Molte terre sottoposte a questo trattamento erano aree abitate da nomadi e ripopolate da cinesi Han della parte centrale o orientale della Cina".