Prosegue la guerra in Medio Oriente con nuovi risvolti, se prima l'esercito israeliano aveva come obiettivo unicamente la distruzione di Hamas adesso sembra che le forze armate dello Stato ebraico puntino a colpire il gruppo armato sciita Hezbollah nel sud del Libano, come spiega a Tag24 l'analista geopolitico del Centro Studi Internazionali Emanuele Volpini.
Un conflitto logorante che va avanti da quasi un anno ed ha portato alla morte di almeno 40mila civili e non sembra conoscere fine. Non ci sono solo Israele e Palestina nel mezzo di questa guerra, anche il destino di altri Stati - come il Libano - oggi è più incerto che mai. Forse l'unica certezza è che comunque finirà per Tel Aviv sarà una sconfitta: l'immagine dello Stato ebraico è compromessa dopo questi ultimi nove mesi.
Le elezioni presidenziali statunitensi del prossimo 5 novembre potrebbero influenzare ulteriormente il conflitto che imperversa in Medio Oriente. La politica estera degli Usa potrebbe essere determinante per trovare una mediazione: non resta però che capire quale strada si seguirà, quella di Joe Biden o di Donald Trump? L'analista geopolitico Volpini parla a Tag24 dell'evoluzione del conflitto e di quanto nei fatti è lontano un accordo che ponga fine alle ostilità.
D: Come prosegue il conflitto e come vanno interpretati gli screzi interni al governo israeliano?
R: "Nell'ultimo mese ci sono stati tre avvenimenti che hanno dato l'impressione che la situazione stesse cambiando su entrambi i fronti: partendo dalle dimissioni di Gantz dal gabinetto di guerra che è stato il primo fattore che ha fatto capire che veniva meno una compattezza che ha unito le forze politiche. Le dimissioni di Gantz lanciano un messaggio: nonostante la crisi, l'opposizione seguirà la linea politica interna".
"Pochi giorni dopo gli Usa hanno proposto una risoluzione - dopo aver bloccato altre risoluzioni - che è stata approvata ma non messa in pratica. L'appoggio internazionale comincia a scricchiolare, gli Usa devono pensare anche alle elezioni. Biden, presentandosi alle elezioni come colui che ha portato avanti la proposta di pace, potrebbe riscuotere maggiore successo".
"Infine lo scioglimento del gabinetto di guerra che ha dimostrato come Netanyahu può appoggiarsi solo alla coalizione di destra e centrodestra che lo sostiene e cercare un espediente nella guerra a nord con il Libano dirottando l'attenzione verso Hezbollah, unico nemico capace di sconfiggere Israele sul campo. Katz si è detto pronto alla guerra totale con il Libano per eliminare la minaccia del partito di Dio, Netanyahu per mantenere un potere molto debole potrebbe giocare questa carta dopo lo scioglimento del gabinetto di guerra".
"Il premier israeliano dovrà tenere conto anche dei dettami dell'estrema destra e potrebbe diventare un gioco pericoloso per lo Stato ebraico".
D: Cosa fa Israele per tenere lontana la soluzione al conflitto?
R: "Da una parte si tiene il focus sul confine nord con il Libano, il gabinetto di guerra non ha saputo dare risposte sul futuro dopo il conflitto e ci sono ancora ostaggi nelle mani di Hamas e Netanyahu non sembra interessato a liberarli. Nella Knesset c'è una maggioranza risicata che sostiene il premier e dunque è possibile che potrebbero esserci cambiamenti da un giorno all'altro".
"Il confine nord è caldo ed Hezbollah ed Israele avrebbero più da perdere che da guadagnare. La situazione - tutti si augurano - potrebbe restare tesa senza mai vedere lo scoppio di un conflitto. Gli attori internazionali in contesti simili agiscono anche su spinte irrazionali".
"Hezbollah ha lanciato il più grande attacco missilistico dall'inizio del conflitto come a dire che non saranno tollerate ulteriori perdite di tempo nel trovare una soluzione alla guerra. Anche gli Houthi promettono di proseguire le loro operazioni fino alla fine degli attacchi a Gaza. Ora la palla passa alla Knesset: cercare di mantenere il conflitto vivo per preservare il potere potrebbe rivelarsi una scelta pericolosa."
D: Cosa cambierebbe se venisse eletto Trump?
R: "Trump è stato colui che ha spostato l'ambasciata causando un caso diplomatico tra Israele e mondo arabo ma si è speso anche per gli Accordi di Abramo per la distensione con rivali storici come l'Arabia Saudita. Il tycoon resta un personaggio divisivo ma potrebbe continuare il processo politico di Biden cercando di 'accelerarla': Trump si 'vende' come un pacificatore e dice sempre che potrebbe porre fine ai conflitti in poco. All'interno di tutto questo rientra ovviamente anche l'elemento irrazionale e dobbiamo tenere conto dei toni forti che potrebbero smorzarsi una volta al potere. Tutto da vedersi, insomma".
D: Pensiamo alle manifestazioni in Israele. Questo governo non gode di grande popolarità sembra di capire...
R: "Ad aprile il quotidiano 'Times of Israel' ha fatto un'indagine sull'opinione pubblica anche alla luce di come veniva condotta la guerra a Gaza. E' un governo che si basa sullo scopo precario e lo scopo delle ostilità ha visto un aumento dell'apprezzamento che però è calato subito dopo: Israele non aveva una progettazione per liberare gli ostaggi e per il post-conflitto. Il governo cavalca l'onda della guerra ed evita una soluzione a breve termine per evitare le elezioni".
"A marzo di quest'anno le elezioni municipali in Israele hanno mostrato una 'disaffezione' verso una classe politica mai rinnovata: Netanyahu è al suo sedicesimo anno da ministro. Il governo non ha saputo dare stabilità e sicurezza ed il popolo israeliano non si sente sicuro della tenuta stessa della democrazia dopo il 7 ottobre".
D: Che ruolo avrà il Libano in futuro?
R: "La tenuta del Libano, dopo la crisi della lira e l'esplosione verificatasi nel porto nel 2020, è un'incognita. Il Paese è in difficolta e tali difficoltà si sono ripercosse su Hezbollah che ha perso molti seggi nelle elezioni del 2022 creando uno shock in Medio Oriente".
"Il Libano resta fondamentale per la stabilità della Siria, di Israele e anche dell'Iran ma i problemi economici che affronta al momento sono difficoltà che rendono complessa questa stabilizzazione".
D: Cosa resterà di questo conflitto?
R: "Un'immagine molto negativa di Israele anche se militarmente dovesse raggiungere la vittoria, politicamente e ideologicamente subirà una sconfitta da intendersi come battuta d'arresto nel processo di accettazione ed integrazione nel mondo arabo. Questo conflitto non ha un vero obiettivo se non la distruzione di Hamas e dimostra la poca lungimiranza del governo israeliano. Molti ritengono in Israele che l'atteggiamento adottato contro Hamas ha aumentato la simpatia verso gli estremismi nel mondo arabo".
"Una duplice sconfitta per Tel Aviv: politica ed ideologica, insomma. L'Europa si è spaccata sulla questione israelo-palestinese, basti pensare che il 28 maggio Norvegia, Irlanda e Spagna hanno riconosciuto la Palestina. L'Occidente esce sconfitto e si capisce che a livello internazionale esistono non solo l'Occidente e il Sud del Mondo come un tempo ma molti attori - i middle powers. Questi cercano di assumere ruoli di egemonia a livello regionale, come la Turchia. Il blocco occidentale non è più incontrastato e l'opinione pubblica si è mobilitata ed ha lanciato un messaggio contro l'ipocrisia occidentale. Questo conflitto avrà strascichi in medio e lungo termine su Israele e sull'Occidente.