Nei giorni scorsi ha sofferto e oggi ha stupito tutti. Mark Cavendish, a 39 anni, conquista la trentacinquesima vittoria che gli consente di diventare il corridore con più successi di tappe al Tour de France. In testa alla classifica però resta Pogacar, l'uomo da battere e il più atteso. Per commentare la partenza del Tour de France dall'Italia e fare un primo bilancio dopo cinque tappe, Davide Cassani, ex ciclista, commentatore televisivo e dirigente sportivo, è intervenuto in esclusiva a Tag24.
Per la prima volta nella storia, sabato scorso il Tour de France ha preso il via dall'italia, per la gioia indescrivibile degli appassionati, ma attirando anche la curiosità di migliaia di persone alla prima esperienza. Il ciclismo italiano non sta vivendo certo il suo momento migliore, ma un evento straordinario come questo potrebbe essere d'aiuto al movimento per avvicinare nuovi atleti e scovare nuovi talenti. Per commentare la partenza del Tour de France dall'Italia e fare un primo bilancio dopo cinque tappe, Davide Cassani, ex ciclista, commentatore televisivo e dirigente sportivo, è intervenuto in esclusiva a Tag24.
Non era mai successo prima, ma finalmente quest'anno il Tour de France ha preso il via dall'Italia. Cosa rappresenta questo per il movimento?
"E' stata una partenza straordinaria, perché non era mai successo e perché attraverso il Tour de France, che è l'evento ciclistico più importante del mondo, siamo riusciti ad onorare quei campioni che hanno vinto e che hanno portato in alto il nostro Paese. Credo che questa sia stata davvero una bella cosa. E poi siamo riusciti a far vedere, in giro per il mondo, le nostre bellezze e le nostre eccellenze. Credo che questo sia stato un messaggio molto bello e sono felice che sia stata accettata la proposta e la candidatura dell'Italia, per fare questa partenza".
È un modo anche per avvicinare più persone possibili a questo tipo di sport, che ne ha bisogno?
"Assolutamente sì, perché i grandi eventi sono comunque veicolo di pubblicità. Ho sempre detto che mi sono innamorato del ciclismo quando sono andato a vedere un campionato del mondo. L'evento ti genera curiosità su quella specialità e su quella disciplina e mi auguro che il Tour de France possa esser stato utile per trasmettere un po' di passione nei confronti di questo sport".
Anche perché in Italia ne abbiamo bisogno, di passione e di nuovi atleti, visto anche il momento?
"Ne abbiamo bisogno perché non stiamo di certo vivendo un buon momento dal punto di vista dei campioni. Purtroppo ora siamo in difficoltà e spero che questo Tour possa servire anche per dare sempre più luce al ciclismo".
Siamo arrivati alla quinta tappa e si può fare un primo bilancio. C'è qualcosa che finora la sorpresa, oppure i grandi nomi hanno rispettato le aspettative?
"Mi aspettavo assolutamente un Pogacar così, ed è andato esattamente come tutti avevano previsto. Credo che l'unica sorpresa potrebbe essere Vingegaard, che dopo la caduta terribile di aprile è riuscito comunque a presentarsi in ottime condizioni e adesso è terzo in classifica. Sto andando molto bene Remco Evenepoel, anche se credo che per lui dovremo aspettare la terza settimana. I favoriti comunque hanno rispettato il pronostico. L'unico che ho visto un po' in difficoltà, anche a Bologna ad esempio, è Primož Roglič. Di salite però ce ne sono ancora tante".
A proposito di salite, piuttosto complicate le tappe italiane?
"Sono state belle, avvincenti, tirate e tra l'altro si sono disputate con un caldo incredibile. Questo le ha rese ancora più difficili. Soprattutto la tappa di Bologna, San Luca, ma anche quella di Rimini, sono state molto belle e interessanti. È stato bello veder vincere Bardet, a 33 anni e al suo ultimo tour".
Ha fatto riferimento alla tappa di San Luca, Bologna, che è la sua città. Un'emozione particolare per lei?
"Assolutamente sì. Mai pensavo di poter vedere il Tour sulle mie strade. Poteva essere un sogno, e invece è stato proprio così. Per me è davvero bello".
Abbiamo parlato degli atleti italiani, ma in questo momento non ci sono neanche le nostre squadre. Questo dato preoccupa?
"Nonostante il momento, siamo comunque un movimento che rimane un punto di riferimento per il ciclismo mondiale, però non abbiamo una squadra di livello e non abbiamo una squadra al Tour de France. Abbiamo soltanto sette corridori, quando circa vent'anni fa ne avevamo 50. Questo deve far riflettere".
Questo dipende dal fatto che il ciclismo sia diventato mondiale, mentre prima era prettamente europeo?
"Certo che sì. Una volta il ciclismo era una questione tra noi, gli spagnoli, i francesi e i belgi mentre in questo momento è totalmente mondiale, con squadre che arrivano dall'Arabia Saudita, piuttosto che dall'America. Ovviamente anche i corridori, e tutto questo si è normalizzato".