Ispirata dall'omonimo romanzo del 1987 scritto da Scott Turow e dal grande classico del cinema uscito nel 1990, "Presunto Innocente" è la nuova miniserie thriller prodotta dalla Warner Bross. Trasmessa sulla piattaforma di streaming Apple TV dal 12 giugno al 24 luglio, questa storia vede il protagonista Rusty Sabich, interpretato da Jake Gyllenhaal, alle prese con l'ingiusta accusa di omicidio della sua collega e amante Carolyn Polhemus.
L’oscurità della notte, come un predatore, esce e va a caccia per le strade di Chicago rendendola sua preda. Nel buio delle tenebre Rusty Sabich (Jake Gyllenhaal), assopito, si addormenta poggiando la testa piena di pensieri su un comodo giaciglio, sdraiato di fianco a sua moglie Barbara (Ruth Negga). Quali riflessioni tormentate potrebbero mai affliggere un uomo bianco, di circa quarant’anni e in salute, mediamente di bell’aspetto, felicemente sposato, con due bellissimi figli adolescenti, ricco, proprietario di una grande villa e con addirittura una bella piscina a completare il banale e sempre rassicurante quadro della perfetta esistenza del maschio di successo? Apparentemente nulla: la vita di Rusty, vice procuratore capo, sembra stucchevolmente perfetta. Professionista indefesso, stacanovista pieno di rettitudine, che non perde quasi mai un caso. Amato praticamente da tutti nel suo ufficio, persino il suo superiore Raymond Horgan (Bill Camp) vede in lui un amico fidato oltre che un collega. Gli unici a odiarlo sono esclusivamente una manciata di uomini suoi rivali sul lavoro, come Tommy Molto (Peter Sarsgaard) responsabile della divisione omicidi, ma che col loro astio non fanno altro che accrescere l’aura di prestigio che avvolge Sabich, come un mantello di seta pura, rendendolo ancor più invidiabile, conferendogli quasi l’aspetto di un pavone che mostra fiero il suo piumaggio sgargiante. E allora cosa potrebbe mai guastare il sonno di individuo così stimato e tronfiamente celebre? Ad esempio, l’improvvisa e violenta morte della sua collaboratrice Carolyn Polhemus (Renate Reinsve).
Carolyn era una di quelle donne che difficilmente si incontrano: lineamenti del nord Europa, bellezza fredda ma affascinante, capelli lisci, castano chiaro, due grandi occhi scuri, bocca calda dal sorriso seducente, alta, col fisico slanciato dalle proporzioni perfette come una mannequin. Sveglia, dall’intelligenza intraprendente, lavoratrice attenta, scaltra e beneducata, indipendente e solitaria. Come un gatto, era lei a scegliere di chi volesse la compagnia, mai contrario. E dinnanzi a tutto questo può un semplice uomo, se pur onesto e dalla rigida integrità di marito fedele, resistere alla tentazione di cadere in ginocchio inebriato dall’odore che emana un simile corpo femminile? Ovviamente no. Debole e misero, Rusty due anni prima aveva ceduto al fremito delle sue carni palpitanti e desiderose di perdersi nella profonda e bollente cavità nascosta in mezzo alle cosce scultoree della sua ormai defunta collega.
Ma in quella che pareva essere soltanto una debolezza occasionale, Rusty e Carolyn si erano ritrovati completamente inghiottiti da una passione struggente che col tempo era divenuta martellante come un incessante assillo. Uno di quei legami che ti toglie il respiro mentre ti tortura i pensieri, distogliendo l’attenzione da tutto il resto. Un’ossessione che ti nega la fame, la sete, la capacità di continuare a vivere al di fuori di quegli attimi di intimità profonda quanto soffocante. In più occasioni lei aveva cercato di chiudere quel rapporto tagliandolo di netto, ma per Rusty starle lontano era doloroso e insopportabile come venire scuoiato vivo. Quasi riusciva a sentirla la pelle che viene dilaniata, squarciata, strappata via a brandelli con violenza. E se Carolyn era comunque più algida, con la sua indole emotivamente distaccata, anche per lei la loro relazione era una tentazione incessante che va ben oltre la semplice attrazione. E così più e più volte si erano lasciati e ripresi; persino l’aver confessato tutto alla compagna Barbara e averle promesso che sarebbe finita una volta per tutte, non era servito a tenerlo lontano dalla sua amante. Come due tossici ritornavano sempre al punto di partenza pur di avere ancora una dose di quella droga così dolce e mortale.
Fino alla notte in cui Carolyn venne uccisa: Rusty andò da lei, chiedendole appello. La supplicò dicendole di volersi impegnare con lei, ma dopo aver consumato un amplesso fugace non ci fu verso di convincerla. Quel che Rusty non sapeva è che lei era rimasta incinta di lui. E allora, tutte queste cose possono essere il movente perfetto per commettere un atroce crimine d’impeto e di rabbia?
Ispirata dall’omonimo romanzo dello scrittore Scott Turow, pubblicato per la prima volta nel 1987, Presunto Innocente è la nuova miniserie, prodotta dalla Warner Bros, trasmessa in esclusiva dal 12 giugno scorso al 24 luglio sulla piattaforma di streaming Apple Tv. La trama si rifà inoltre al thriller del 1990, che porta il medesimo nome, che vide protagonista Harrison Ford. Ma per quanto ci si possa aspettare l’ennesimo remake specchio di un classico del cinema, il soggetto è stato preso, smontato, riscritto e riassemblato in modo molto diverso. Dalle dissonanze apparentemente più piccole come, ad esempio, il fatto che la moglie di Rusty in questo rifacimento è afroamericana, mentre nell’originale è di carnagione bianca, che la coppia ha due figli teenager a dispetto della prima versione dove hanno solamente un figlio di nove anni, a quelle più grandi che cambiano radicalmente la struttura di tutta la storia, personalmente ho trovato la serie qualitativamente superiore nell’elaborazione di tanti temi e dettagli rispetto al film.
A partire dal protagonista, qui interpretato da Jake Gyllenhaal, che in contrapposizione col personaggio incarnato da Ford viene analizzato maggiormente, scavando a fondo nella sua psiche per mostrarci tutti i lati di ombra di un individuo di successo che, alla fine, è debole e peccatore come tutti gli altri. Se nel film il ruolo principale incarna esclusivamente un tale buono e onesto, vittima del sistema giuridico e delle mire di una donna tentatrice e arrivista, qui si fa a pezzi l’intera facciata del padre di famiglia per andare ad analizzare la personalità complessa e narcisista, a volte fortemente iraconda, di un uomo innamorato di se stesso. All’inizio empatizzi con lui, percepisci una vicinanza nonostante la sua infedeltà coniugale, poi lo detesti scoprendo dei lati di deviato egoismo che sfocia nella rabbia più cruda, poi ancora nuovamente quasi te ne affezioni. Esattamente come nella relazione con Carolyn, ti ritrovi metaforicamente piazzato sulle montagne russe, facendo su e giù, intervallando momenti di affetto ad altri di odio.
Un’altra diversità fondamentale sta nell’approfondire le dinamiche che si sviluppano all’interno dei matrimoni di lunga data: se nel primo lungometraggio tutto rimane in superficie, con due coniugi che inspiegabilmente rimangono uniti dopo un simile terremoto, qui si esaminano le varie fasi di elaborazione del trauma e di un lutto non soltanto effettivo, ma anche metaforico riferendosi al tradimento. Di come un tale evento impatti inevitabilmente anche sulla mente di due ragazzi nel pieno dell’adolescenza. La parte della consorte, in questo caso interpretato da Ruth Negga che sulle ultime scene ci regala una prova attoriale di grande spessore emotivo, a dispetto della Barbara di Bonnie Bedelia, solamente competitiva e patologicamente gelosa dell’amante, è una compagna e una madre determinata a salvare la propria famiglia a qualunque costo. A tratti è quasi insopportabile: nei primi episodi appare eccessivamente arrendevole e insicura, paragonandosi con la rivale ma in una maniera dimessa e priva di autostima. Poi si risveglia, mettendo finalmente in discussione il suo rapporto e riscoprendo la voglia di sentirsi desiderata dalle mani di un altro. Per poi tornare indietro, col senso di colpa, rimanendo saldamente attaccata a una prigionia opprimente che è la sua realtà matrimoniale. Nessuno dei due coniugi, chi per un motivo chi per un altro, riesce ad accettare che quel legame è ormai esausto, mutato in una maniera irrimediabile e che restare insieme significherebbe condannarsi per sempre a una vita infelice.
Infine il personaggio di Tommy Molto, recitato da un brillante Peter Sarsgaard, che viene approfondito molto di più in questa versione. La fissazione maniacale per una donna che lo ha sempre rifiutato, la competizione con Rusty Sabich fino a divenire puro odio cieco, l’invidia che obnubila qualunque capacità di giudizio. Una parte cruciale per la narrazione che ci racconta di un essere umano solo, che nella sua esistenza possiede nient’altro che il lavoro e una gatta, la cui rivalità lo porta a un crescendo di follia che lo rende inabile a rimanere oggettivo. Maggiore è la suspense, la tensione, il pathos. Inoltre anche il finale è dissonante: non originalissimo, ma sicuramente inaspettato perché decisamente dissimile da quello del film. Esclusi alcuni punti superflui, ottimo prodotto. Quattro stelle su cinque.