Uno stato piegato da inflazione, disoccupazione, emigrazione, corruzione e povertà: la situazione oggi in Venezuela rispecchia in pieno la rabbia e la disperazione della popolazione, che ha assistito alla terza rielezione di Nicolàs Maduro a presidente venezuelano.
Non si sprecano le accuse di brogli, mentre nelle strade di Caracas gli scontri fra manifestanti e polizia ha già portato alla morte di due persone.
La maledizione del petrolio ha colpito anche il Venezuela. Può sembrare un paradosso che l'oro nero diventi un impedimento all'arricchimento di una nazione, ma il paese sudamericano è uscito distrutto dalle presidenze di Hugo Chavez e Nicolàs Maduro.
La situazione oggi in Venezuela non è delle più rosee e a ciò ha contribuito anche il non saper gestire i proventi delle esportazioni petrolifere. Chavez e Maduro, promotori di una via venezuelana al socialismo, hanno gestito il paese che pure fra gli anni '60 e '70 era uno dei più forti a livello economico nell'America Latina, anche se angustiato da diversi colpi di stato e da un'ingerenza economica altrettanto forte degli Stati Uniti.
Affidarsi ad una sola esportazione, in questo caso il petrolio, ha esposto il Venezuela alle fluttuazioni del mercato e alle sanzioni economiche che negli anni sono state imposte dagli USA e dall'UE. Un collasso economico guardato con disperazione dalla popolazione, che pure negli anni passati (2002, 2014 e 2017) si era protagonista di scontri di piazza per protestare contro i governi del momento.
Dal 2013 ad oggi sono emigrati circa 8 milioni di venezuelani, molti negli Stati Uniti, in Europa (anche l'Italia ne è stata interessata) e nei paesi confinanti, e la rielezione di Maduro rischia di ingrossare questa schiera.
Cosa manca in Venezuela? Un po' di tutto: la debolezza della moneta locale (il Bolívar venezuelano) ha dato vita ad un florido mercato nero di valuta estera, e al contempo non permette l'acquisto di medicinali o altri beni di prima necessità. Le riforme economiche decise dal governo si sono poi scontrate con la corruzione all'interno dei ranghi governativi, andando ad impattare anche gli aiuti umanitari internazionali.
Difficoltà economiche e violenze politiche sono un mix che in tanti paesi portano alla superficie tensioni latenti e decisamente gravi. In Venezuela, come detto, la discrasia fra condizioni di vita della popolazione e quelle della dirigenza politica è sotto gli occhi di tutti ed è aggravata dalla sensazione che non ci sono altre soluzioni a portata di mano se non un colpo di mano.
Da parte di chi, però? Del Partito socialista unificato di Maduro o delle forze d'opposizione, o di un terzo attore che al momento non è pronosticabile? Il presidente venezuelano, lo scorso dicembre, si era giocato la carta sciovinista e nazionalista dell’Esequibo, regione amministrata dalla vicina Guyana, grande circa 160mila chilometri quadrati.
In modo unilaterale il Venezuela ne aveva deciso l'annessione con un referendum i cui numeri avevano comunque mostrato un certo appoggio della popolazione venezuelana: 10,5 milioni di voti su un totale di 20 milioni di persone chiamate alle urne sono andati per il sì.
In tanti, a livello internazionale, condannarono il gesto, così come hanno criticato i risultati delle elezioni del 28 luglio. Si teme un'escalation delle violenze e che il numero dei morti aumenti considerevolmente.