26 Aug, 2024 - 12:09

Aurelia Tasca, l’insostenibile peso dell’ingiustizia: “Aggredita da un sergente dell’Aeronautica nell’aeroporto di Sigonella. Nessun tribunale mi ha tutelata"

Aurelia Tasca, l’insostenibile peso dell’ingiustizia: “Aggredita da un sergente dell’Aeronautica nell’aeroporto di Sigonella. Nessun tribunale mi ha tutelata"

Una storia triste, importante e delicata. Una vicenda fatta di attese, sofferenza, e un senso di ingiustizia che non riesce a tramontare.

Si potrebbe descrivere così la vicenda narrata in prima persona da Aurelia Tasca, risalente al 2018. Il drammatico epilogo di una relazione sentimentale con un sergente dell’aeronautica militare che si è concluso con una violenta aggressione e una tortuosa coda giudiziaria.

Aurelia ha deciso di raccontare la sua esperienza per la prima volta durante il programma radiotelevisivo Che rimanga tra noi, condotto da Alessio Moriggi e Francesca Pierri su Radio Cusano Campus. Nonostante oggi viva serenamente con il suo nuovo compagno e i figli, il ricordo di quella notte e dei giorni che seguirono la feriscono ancora.

La storia di Aurelia Tasca: "Aggredita da un sergente dell’Aeronautica"

L’epilogo drammatico della storia scaturisce da una relazione con un uomo, un sergente dell’aeronautica, conosciuto in provincia di Ragusa, lì dove lei stessa abita. La vicenda raccontata si svolge nell’aeroporto militare di Sigonella. Ci si arriva dopo una serie di conflitti avuti tra Aurelia e il suo ex compagno che si trasformano in un’escalation senza scampo.

Dovevano vedersi per chiarirsi e l’ex compagno la conduce all’interno delle base di Sigonella. È un aeroporto militare, c’è bisogno di una particolare procedura per accedere. L’iter viene dettato via cellulare ad Aurelia proprio per raggiungere agevolmente una delle entrate posteriori dell’aeroporto.

D: Che cosa succede la sera del 12 dicembre 2018?

R: Era la notte tra il 12 e il 13 dicembre. Attraverso una chiamata telefonica da una nostra amica in comune, lui mi chiedeva la restituzione di alcune cose. Era abbastanza tranquillo al telefono, l’amica me lo passò e lui mi disse: Se vuoi, puoi raggiungermi perché oggi sono in servizio.

Decido di raggiungerlo in macchina. Di notte un po’ mi sono persa, quindi lui mi diede indicazioni telefoniche su dove andare per raggiungerlo.

Mi chiede di non entrare dall’entrata principale, si fa trovare in strada. Tutto questo è documentato dalle chiamate registrate, perché all’epoca era possibile farlo telefonicamente.

Mi dice che ho sbagliato strada e che dovevo raggiungere una sorta di sfera. Si fa vedere in mezzo alla strada con una torcia per identificarsi, perche non c’è illuminazione artificiale. Non si vede neanche il cancello da cui devo entrare.

Completamente al buio, tanto che vedo questa torcia e lo supero, poi torno indietro. Lui apre il cancello, lì vicino c’era la sua macchina. Mi fa entrare e chiude il cancello dietro la mia macchina, poi mi chiede di seguirlo.

Facciamo un po’ di strada in macchina, non ricordo quanto, comunque mi conduce a un parcheggio un po’ isolato, dicendo che è lí che parcheggiano tutti, sono posti riservati al personale.

Successivamente ho scoperto che era un parcheggio non autorizzato a essere aperto, perché era di proprietà di Alitalia.

Mi fidavo di quello che mi diceva lui. Fino a questo punto  non si è mai mostrato alterato, era tranquillissimo, anche al telefono: pensavo si trattasse di un semplice chiarimento. Ho parcheggiato parallelamente a lui e mi indicò di entrare in macchina, perché era dicembre e non si poteva fare una conversazione all’aperto, faceva freddo. Arrivammo a essere quindi in macchina insieme lui seduto al posto di guida, io vicina.

La conversazione iniziò con le sue parole: Sei venuta a cuore aperto, in modo sincero?, quasi accusandomi. 

Io, dubbiosa, gli domandai a cosa si riferisse, ma non voleva dirmi cosa. Continuava a dire: Tu lo sai, tu lo sai.

Prese il suo telefonino, e iniziò a sbattermelo in faccia, tentando di farmi vedere una foto. Non riuscivo nemmeno a identificarla perché era troppo vicina al mio viso, non si vedeva bene. Mi accusava di un presunto tradimento, che sarebbe avvenuto l’anno prima, addirittura dentro una caserma dei carabinieri. Cose assurde, proprio assurde.

Gli dico: Ma che cosa stai dicendo? Io non conosco questa persona. Di cosa stai parlando? Fammi vedere meglio, perché non capisco.

Così lui, fuori di sé, esce dalla sua auto, apre lo sportello, e comincia a strattonarmi fuori. Da lì inizia una vera e propria colluttazione.

A tutti gli effetti, mi sbatte, mi scaraventa la faccia contro lo sportello della mia macchina, che era accanto. Io vengo tramortita perché inizia a calciarmo. Perdo i sensi e mi sveglio coi suoi sputi e le sue grida: Mi dovevi trattare meglio, Auri, mi dovevi trattare meglio.

Entro in panico, era buio pesto, vedevo un lampione da lontano e provai a scappare, urlando fortissimo perché mi sentivo persa.

Riesce a raggiungermi. Ero sotto un lampione e mi prende per la gola, premendo il ginocchio sul mio inguine per fermarmi.

Mi mette un accendino in bocca tappandomela con le sue mani e dicendo: Se non stai zitta, arrivano gli americani e ti ammazzano.

D: Come sei riuscita a sfuggire alla presa?

R: Avevo la sua mano premuta alla gola. Non mi lasciava, mi prese per i capelli e mi trascinò per diversi metri. Talmente a lungo che perdo il giubbotto, ritrovato poi tra la mia macchina e il faro. Ero completamente sporca e mi trascinava per i capelli.

Nel tragitto verso la macchina, arrivò una camionetta. In un secondo momento, vidi che uno dei militari era una persona che conoscevo e che mi chiese cosa ci facessi in quel posto.

Il sergente, il mio ex compagno, rispose mettendosi sull’attenti rivolgendosi al militare: Questa civile è entrata dal cancello principale  raccontando menzogne su menzogne. 

Continuai a ripetere che non era vero e che mi aveva aggredito. E lui mi intimò di stare zitta.

Il collega militare mi aiutò addirittura a rimuovere i capelli che stavo perdendo, ne erano tantissimi. Continuavo a toccarmi la testa e ne cadevano ancora. Lui aveva preso le chiavi della mia macchina e le teneva strette. Gli dissero per tre volte di restituirle, ma non voleva farlo fino a strappargliele dalle mani, ma aveva persino rotto il portachiavi. Mi diedero le chiavi e dissero che avrei dovuto andarmene. 

Io mi fermai e dissi: No, voglio che vengano chiamate le autorità competenti, subito. Mi fu negato più volte.

D: Alla fine, Aurelia riesce a chiedere l’intervento dei carabinieri, che inizialmente le viene negato, ma successivamente viene portata al comando della stazione presente alla base dell’aeroporto.

Non trovavo il mio telefono che era in macchina, in quel momento erano spariti i documenti, parte integrante della mia borsa, come le carte di credito. 

Mi lasciano chiamare dal mio cellulare, faccio il numero e i carabinieri mi rispondono che a Sigonella c’è un dipartimento interno che mi è stato più volte interdetto dai militari presenti nel parcheggio.

Non sapevo che ci fosse una stazione dei carabinieri interna a Sigonella e pensavo di dovermi rivolgere a qualcun altro. In ogni caso, le forze dell’ordine arrivarono accorgendosi che avevo contusioni e parte degli indumenti strappati. 

La prima cosa che fanno è portarmi in ospedale. Salgo in macchina con i carabinieri di Sigonella e mi portano all’ospedale di Paternò.

Ero in preda al panico, durante il tragitto ho vomitato perché avevo subìto un trauma cranico, all’ospedale vengo ricoverata per tutta la notte. Mi hanno fatto accertamenti, TAC e altre analisi. Ho continuato a tremare tutta la notte fino al mattino successivo, quando un medico mi ha detto: Signora, lei continua a tremare. Le consiglio di fare una visita con il nostro psicologo.

Le aggressioni lasciano nella mente segni profondi, la dottoressa mi ha suggerito di intraprendere un percorso di natura psicologica che è durato qualche mese, fortunatamente. Ho avuto una famiglia che mi stava vicino. La vita doveva andare avanti. Anche se il corpo subisce, bisogna andare avanti. Oggi ho una vita mia, completamente ricostruita, attiva al cento per cento.

D: Parlando dell' aspetto giudiziario, il caso è stato trattato sia dal tribunale militare che da quello ordinario. Il giorno successivo alla tua dimissione dall'ospedale, formalizzi la denuncia dai carabinieri.

R: I carabinieri di Sigonella mi prelevano dall'ospedale e mi portano direttamente alla loro stazione. Mi avvalgo della consulenza di un avvocato.

È terribile che un'aggressione così brutale sia avvenuta in un aeroporto militare, dove le persone dovrebbero sentirsi sicure al 100%. E invece, sono riusciti ad insabbiarla. L’aggressione è stata compiuta da una persona che dovrebbe lavorare per lo Stato, per tutelarci. Oggi lui è libero e tranquillo.

D: Tra l'altro abitate ancora vicini.

R: Sì, viviamo nello stesso paese, a pochi chilometri di distanza.

D: Come si è arrestata la vicenda?

Mi arriva un invito a presentarmi al tribunale militare di Napoli, a comparire in questo processo intentato da Sigonella verso questo sergente militare.

D: Il tribunale militare, rispetto alla denuncia, che cosa ha stabilito?

R: Il tribunale militare ha incriminato il sergente solo per una violazione di consegna, ossia per aver abbandonato il posto di lavoro.

A quanto risulta a TAG24 e a Radio Cusano Campus, il sergente dell'Aeronautica, riguardo alla vicenda sopra descritta e raccontata, è stato assolto con formula piena sia dal tribunale ordinario che da quello militare.

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Redazione Tag24
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