Maestro del cinema o predatore sessuale seriale? È tra questi due poli antitetici che Roman Polanski vive da sempre, alternando le standing ovation ai principali festival cinematografici in giro per il mondo alle accuse di stupro che lo accompagnano ancora oggi.
Il caso più eclatante è quello della violenza sessuale ai danni di Samantha Geimer, avvenuta nel 1977 quando la donna aveva appena 13 anni. Abuso risolto con un patteggiamento e la successiva fuga del regista dagli Stati Uniti d'America per evitare nuove condanne, potenzialmente molto gravi. Un atteggiamento che, unito alla mancanza di un esito giudiziario definitivo, ha contributo a consolidare lo stigma sociale intorno alla sua persona.
Oggi, 23 ottobre 2024, un'altra causa legale ai suoi danni per una presunta aggressione sessuale a un'altra minorenne, che sarebbe avvenuta nel 1973, trova la sua conclusione. L'avvocato del regista fa sapere, infatti, di un accordo raggiunto l'estate scorsa "con reciproca soddisfazione delle parti".
Un esito che non farà che alimentare il clima di sospetti e accuse che circonda il regista di "Rosemary's baby" e "Il pianista".
Polanski, infatti, è ancora un 'fuggitivo' per la giustizia americana e per gran parte dell'opinione pubblica mondiale, a seguito del caso Geimer. E a poco sono servite le numerose uscite pubbliche con cui la vittima ha più volte dimostrato vicinanza verso il regista, arrivando anche a sminuire l'accaduto.
Questa nuova controversia giudiziaria, tuttavia, non ha fatto altro che confermare la diffidenza nei suoi confronti da parte della gente comune. Un caso emerso nel 2017 quando, nel corso di una conferenza stampa, l'avvocata Gloria Allred presentò l'accusa di una sua assistita (nominata solamente come 'Jane Doe' per proteggerne l'anonimato) contro Polanski.
La presunta vittima accusava il regista di averla violentata nel 1973, quando lei aveva solo 16 anni, dopo averla fatta ubriacare in un ristorante. Una volta condotta nella sua abitazione, Polanski avrebbe abusato di lei, nonostante le sue suppliche.
Il regista ha sempre respinto le accuse con il suo avvocato che, all'epoca, dichiarò di essere pronto a dare battaglia in tribunale. Processo che era atteso, in effetti, per l'agosto 2025, dopo una non specificata richiesta di risarcimento presentata nel giugno 2023, e che, invece, non sarà celebrato. Alexander Rufus-Isaacs, legale di Polanski, ha fatto sapere con una email inviata all'agenzia di stampa francese AFP che il caso è stato risolto in estate con un accordo tra le parti e, dunque, definitivamente archiviato.
Resta, comunque, il carattere divisivo della figura di Polanski. Un artista capace di vincere un premio Oscar e una Palma d'oro per "Il pianista" (2002) e celebrato per pellicole che hanno segnato l'immaginario dei cinefili di tutto il mondo, da "Rosemary's baby" (1968) a "Chinatown" (1974), da "L'inquilino del terzo piano" (1976) a "L'uomo nell'ombra" (2010).
Varie volte, però, il regista vede la tragedia abbattersi su di lui. Dall'infanzia, con l'avvento del nazismo e il dilagare dell'antisemitismo che lo costringono a sperimentare prima l'esperienza drammatica del ghetto di Cracovia, poi la morte di sua madre, uccisa nel campo di concentramento di Aushwitz, fino all'età adulta, con il brutale omicidio di sua moglie, l'attrice Sharon Tate, ad opera dei seguaci di Charles Manson nel 1969. Episodio ricostruito a suo modo e con molta libertà rispetto ai fatti realmente accaduti nella pellicola "C'era una volta a... Hollywood" di Quentin Tarantino.
L'anno spartiacque per la vita e la carriera del regista è, però, il 1977. All'epoca, Polanski è già da tempo uno degli autori più amati e 'coccolati' sia dal cinema europeo sia da quello hollywoodiano, dal quale riesce a farsi produrre i suoi film pur conservando l'indipendenza del suo sguardo.
In quell'anno, però, il regista polacco viene arrestato con l'accusa pesantissima di violenza sessuale nei confronti di una minorenne, per i rapporti sessuali avuti con Samantha Geimer quando aveva solo 13 anni. La ragazza è la figlia di una conduttrice tv e racconta di aver subito la violenza nella villa dell'attore Jack Nicholson, protagonista del film di Polanski "Chinatown", dove il regista avrebbe dovuto farle un servizio fotografico per la rivista 'Vogue'.
La vicenda finirebbe in tribunale se non fosse che il legale della Geimer propone di risolvere il contenzioso con un patteggiamento, accolto dalla difesa e dal giudice. Polanski viene, quindi, condannato a 90 giorni di reclusione, salvo poi uscire dal carcere di Chino, in California, dopo soli 42, con i restanti da scontare in libertà vigilata.
Tuttavia, il 1 febbraio del 1978, venuto a conoscenza della volontà del giudice di riaprire il processo con accuse più gravi ai suoi danni, il regista lascia gli Stati Uniti per l'Europa. Inutili i tentativi fatti dalla giustizia statunitense nel corso degli anni (in particolare, quello del 2009 in Svizzera) per ottenere l'estradizione di Polanski, che non farà mai più ritorno negli USA.
Agli occhi dell'opinione pubblica, il caso si riassume brevemente con uno stupratore pedofilo scappato dalla giustizia. Tuttavia, gli elementi di complessità della vicenda sono numerosi.
A partire dalle ricostruzioni di quanto accaduto in quella fatidica giornata del 1977. Alcuni sottolineano, infatti, che la Geimer si sia recata di sua spontanea volontà all'appuntamento, addirittura con il sostegno (e, forse, le pressioni...) di sua madre, che vede in quell'incontro l'occasione per sua figlia di soddisfare le ambizioni di entrambe. Quella che oggi sarebbe definita 'vittimizzazione secondaria'.
Decisamente più rilevante è, invece, il comportamento della vittima stessa. Samantha Geimer, infatti, difende più volte il suo carnefice nel corso degli anni, arrivando a farsi fotografare sorridente insieme a lui nel 2023.
Roman Polanski poses for smiling photo with rape victim Samantha Geimer https://t.co/yTLZgtG7Wu pic.twitter.com/PvKOT0q9Ue
— New York Post (@nypost) May 1, 2023
Ancora più significativa è, poi, l'intervista rilasciata dalla donna sempre lo scorso anno alla rivista francese 'Le Point'. A colpire è, anzitutto, la scelta decisamente sorprendente di Emmanuelle Seigner, moglie proprio dello stesso Polanski, coma sua interlocutrice.
Nel confronto con la compagna del suo carnefice, Geimer ribadisce quanto già sostenuto svariate volte nel corso degli anni, dicendo chiaramente che "quello che è successo con Polanski non è mai stato un grosso problema per me":
Frasi che dovrebbero consentire un giudizio meno severo nei confronti del regista polacco, se non dalla giustizia statunitense, almeno dal giudizio popolare. Ipotesi, tuttavia, molto distante da una realtà in cui Roman Polanski continua e continuerà a essere un personaggio controverso e dibattuto.