25 Oct, 2024 - 15:15

Megalopolis, il flop è la dimostrazione che Hollywood non sa più 'vendere' i film d'autore. E occhio al prossimo di Clint Eastwood

Megalopolis, il flop è la dimostrazione che Hollywood non sa più 'vendere' i film d'autore. E occhio al prossimo di Clint Eastwood

A Hollywood non c'è più spazio per il cinema d'autore? Una frase un po' forte, probabilmente, ma a guardare con attenzione quello che succede negli ultimi tempi alla Mecca del Cinema, qualche preoccupazione sorge. Il flop clamoroso e oramai certificato di "Megalopolis", ultima fatica di un maestro come Francis Ford Coppola, è un segnale inequivocabile di come il pubblico faccia sempre più fatica ad accogliere film che non appartengono a filoni o 'proprietà intellettuali', come si usa definirle, già note e amate.

Tuttavia, questa tendenza potrebbe riguardare un problema molto più serio, non tanto degli spettatori e delle loro nuove abitudini di consumo, stravolte dallo streaming e dall'affermazione dirompente della 'narrazione diffusa' della serialità, quanto della stessa 'macchina' hollywoodiana.

L'industria cinematografica più strutturata al mondo sembra avere, oggi, seri problemi non solo a produrre simili pellicole ma, soprattutto, che non sappia più come promuoverle. In altri termini, nell'epoca in cui le campagne di marketing costano alle case di produzione quasi quanto i loro 'kolossal', gli Studios di Hollywood non sembrano avere più idea di come 'vendere' questo tipo di film per attirare il pubblico nelle sale.

I casi sono ormai così numerosi da rendere impossibile parlare di mera coincidenza. E a essere coinvolti sono altri grandi maestri della Settima Arte, come Steven Spielberg e Martin Scorsese, o autori più giovani ma già affermati come Alfonso Cuarón e Damien Chazelle. Al punto che c'è già chi lancia l'allarme per il prossimo (e probabilmente ultimo) film di un altro 'grande vecchio' di Hollywood, Clint Eastwood...

Megalopolis, il disastro commerciale annunciato dal 'pasticcio' del trailer rimosso

Eppure, le premesse perché "Megalopolis" fosse uno degli eventi cinematografici dell'anno c'erano tutte. Un grande regista, autore di capolavori immortali come "Apocalypse now" e la trilogia de "Il Padrino", che torna con un nuovo film a distanza di ben tredici anni dall'ultimo (l'horror sperimentale "Twixt" del 2011). Un progetto, inoltre, inseguito per anni, per realizzare il quale Coppola ha investito 120 milioni di dollari di tasca propria, ottenuti vendendo parte della sua azienda vinicola nella Napa Valley, in California. Insomma, il sogno americano del self made man al suo apice.

Ma il disastro di "Megalopolis" è stato colossale quanto le aspettative che aveva suscitato. Il film, a livello globale, ha incassato ad oggi, 25 ottobre 2024, poco più di 12 milioni di dollari ed è praticamente impossibile che i pochi mercati in cui non è ancora stato distribuito (Brasile, Grecia, Romania e Paesi Bassi) lo salvino da un fallimento che appare certificato.

I primi campanelli d'allarme sono arrivati dal Festival di Cannes, dove la pellicola è stata presentata in anteprima mondiale lo scorso maggio. Alla proiezione con il pubblico, il film è stato salutato da una standing ovation di 10 minuti, accolta da un Coppola visibilmente commosso.

E non diversa è stata l'accoglienza riservata al regista dalla Festa del Cinema di Roma, dove "Megalopolis" è stato ospitato e dal cui tappeto rosso Coppola ha esaltato l'estro creativo degli italiani, non risparmiando una battuta sulla politica nostrana.

Tuttavia, il giudizio della critica è apparso da subito contrastato, arrivando anche a vere e proprie stroncature. Come quella di Johnny Oleksinski del 'New York Post' che lo definisce "un disastro strampalato da '0 stelle' di punteggio", o di Wendy Ide dell'Observer che parla di "opera dal vuoto urlante". Sconcerto che ha influenzato anche il pubblico che non solo non è andato in massa a vederlo ma gli attribuisce, su Imdb, un punteggio sostanzialmente insufficiente di 5,1 su 10.

Solo colpa di Coppola, che ha perso il suo 'smalto' di grande autore, annebbiato da un progetto inseguito per così tanti anni? Le recensioni di alcuni critici vanno in questa direzione ma probabilmente, come sempre, la realtà è più complessa e le ragioni potrebbero essere anche altre.

Un problema che, nel caso di "Megalopolis", si è palesato con un caso di bad advertising probabilmente unico nella storia, non soltanto del cinema. Il vero e proprio pasticcio, cioè, riguardante il primo trailer della pellicola, diffuso dalla Lionsgate (che produce il film) ad agosto 2024 e rimosso solo pochi giorni dopo.

Il motivo? Come fatto notare dal magazine 'Vulture', il video citava una serie di recensioni negative che avevano colpito, in passato, altri capolavori di Coppola, da "Apocalypse now" a "Il Padrino" fino a "Bram Stoker's Dracula". Peccato che le recensioni in questione non fossero vere! Si trattava o di frasi estrapolate da contesti differenti o, nel peggiore dei casi, completamente inventate.

Emerso il 'fattaccio', la Lionsgate ha subito provveduto a rimuovere il filmato, con tanto di comunicato di scuse. Tuttavia, il trailer è ancora visibile su YouTube grazie ad alcuni utenti della piattaforma e potete vederlo qui sotto:

Steven Spielberg e gli altri: il 'flop d'autore' è ormai la regola a Hollywood?

L'intento di chi ha realizzato il video era, ovviamente, quello di sviluppare una narrazione centrata sulla genialità incompresa e disprezzata, creando un parallelismo tra il regista e il protagonista del suo film, l'architetto Cesar Catilina interpretato da Adam Driver, anche lui ostracizzato per le sue idee rivoluzionarie.

Tuttavia, il modo approssimativo (a voler essere gentili...) in cui è stato realizzato indica la difficoltà tremenda della Hollywood di oggi quando si trova ad avere a che fare con simili pellicole. Difficoltà che lo stesso Coppola evidenzia quando, in una recente intervista, dichiara che siamo ormai "abituati a vedere film che sono come altri film perché sono finanziati in quel modo", mentre il suo "Megalopolis" rappresenta "una novità".

È certamente più facile vendere "Avengers: Endgame" rispetto a una pellicola dal budget comunque elevato (o 'mostruoso', come nel caso di Coppola) ma non basata su proprietà intellettuali che gli spettatori già conoscono e amano. Una deriva sulla quale si era già espresso Martin Scorsese, con le sue affermazioni sui cinecomics. Frasi, le sue, spesso fraintese, in quella solita, sfiancante dialettica ‘apocalittici vs integrati’ che ha fatto perdere di vista il centro del discorso.

Martin Scorsese sul red carpet della Festa del Cinema di Roma 2019, per presentare "The Irishman".

Sia chiaro, e a scanso di equivoci: i cinecomics e le nuove narrazioni estese non sono il Male. Affatto. Restano un’evoluzione viva e potente dell’immaginario cinematografico contemporaneo. Coppola e Scorsese parlano di un'altra cosa, del rischio cioè che Hollywood non sia più in grado di sviluppare (produrre, distribuire, promuovere) film come i loro, o come quelli di qualsiasi altro autore con in mente una storia che esca dai parametri ‘seriali’ dominanti degli ultimi anni, segnati da sequel, prequel e universi espansi e 'diffusi' su più pellicole (come, appunto, quelli basati sui fumetti della Marvel).

Un'analisi che, negli ultimi anni, vede molte, clamorose conferme.

Basti pensare a "Roma" del messicano Alfonso Cuarón, acclamato regista di "Harry Potter e il prigioniero di Azkaban" e "Gravity". Il film incassa a livello mondiale poco più di un milione di dollari a causa della distribuzione affidata a Netflix, che lo fa arrivare nei cinema a fine novembre 2018 ma poco dopo anche in streaming (14 dicembre 2018). Una scelta obbligata perché, come afferma lo stesso regista alla Mostra del Cinema di Venezia di quell'anno, dove "Roma" vince il Leone d'Oro come Miglior film, nessun altro Studio aveva avuto il coraggio di farsi carico di una pellicola in bianco e nero e recitata in messicano.

Stessa sorte tocca l'anno seguente proprio a Martin Scorsese e al suo "The Irishman", pellicola di oltre tre ore e mezza di durata, con Robert De Niro e Al Pacino protagonisti, che rappresenta una chiusura simbolica dell'epica gangster tanto cara al regista italoamericano. Nel mese in cui viene distribuito in sala (dal 1 al 27 novembre 2019), prima dell'approdo su Netflix che lo distribuisce, la pellicola non arriva nemmeno al miliardo di dollari.

Ancora più eclatanti, in questa analisi, sono i crolli al box office di "The Fabelmans" e "Babylon", entrambi del 2022. Film non solo diretti da due registi molto popolari tra il pubblico, come il veterano Steven Spielberg e il giovane Damien Chazelle (acclamato per "Whiplash" e "La La Land"), ma che avevano tutto per diventare 'classici' di successo.

Si tratta, infatti, di due grandi omaggi alla meraviglia del cinema raccontata, nel caso di Spielberg, attraverso il suo percorso di formazione segnato dall'amore per la cinepresa e, nel film di Chazelle, con l'appassionata rivisitazione della folle epoca pionieristica di Hollywood, con il passaggio dal muto al sonoro. Ebbene, il primo incassa solamente 45 milioni di dollari a fronte di un budget di 40 e il secondo va addirittura in perdita, totalizzando 64 milioni che non coprono i 78 spesi per la produzione.

Clint Eastwood, il suo prossimo (e ultimo?) film segue il destino di "Megalopolis"

E il prossimo a fare le spese di questo evidente disagio della Mecca del Cinema sembra proprio possa essere Clint Eastwood.

Il cinque volte premio Oscar potrebbe, infatti, vedere il suo prossimo film, "Juror #2" ("Giurato numero 2" in Italia) distribuito soltanto in poche decine di sale cinematografiche. Un trattamento che qualcuno potrebbe giudicare quasi irrispettoso verso una vera e propria icona dell'industria hollywoodiana e di quello che, a ormai 94 anni, rischia seriamente di essere il suo ultimo lavoro.

J. Kim Murphy su Variety dipinge, però, un quadro a tinte fosche sul destino della pellicola che, citando fonti vicine alla produzione, dovrebbe essere distribuita solamente in 50 sale a livello nazionale. Una distribuzione da film indipendente a basso budget, non certo all'altezza di un film costato 30 milioni di dollari e diretto da un nome come quello di Eastwood.

A peggiorare le cose, le fonti riferiscono che il film non sarebbe percepito come un possibile contendente per gli Oscar 2025 dalla Warner Bros. che lo produce, che non starebbe spingendo per la sua promozione in tal senso.

Se anche il dramma giudiziario diretto da Eastwood dovesse subire la triste sorte di "Megalopolis" e degli altri film citati, ci troveremmo di fronte a una vera e propria 'caduta degli Dei' che avrebbe come unico esito quello di privare il pubblico mondiale di tantissimi modi alternativi di interpretare la nostra realtà, che è mutevole proprio come il cinema stesso.

AUTORE
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Piercarlo Fabi
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