Milena Quaglini, soprannominata la vedova nera del Pavese, ha commesso tre omicidi dopo una vita segnata da violenze e soprusi, per poi togliersi la vita in carcere. Per ricostruire la sua storia, spesso accostata a quella di Aileen Wuornos, la prostituta americana condannata per l’uccisione di sette uomini, dobbiamo fare un passo indietro.
Milena Quaglini nasce il 25 marzo del 1957 a Mezzanino Po', in provincia di Pavia, in una famiglia modesta. Il padre, alcolizzato e violento, lavora per un’azienda metalmeccanica, mentre la madre, fragile e remissiva, svolge lavori di pulizia, vivendo all’ombra del marito geloso.
Cresce in un ambiente opprimente e subisce ripetute violenze fisiche. A 19 anni, dopo essersi diplomata in ragioneria, decide di fuggire di casa per costruirsi una vita diversa. Tra Como e Lodi svolge vari lavori – cassiera, badante, donna delle pulizie – con l’unico sogno di crearsi la famiglia amorevole che non ha mai avuto.
È ancora giovanissima quando si innamora di un uomo divorziato, più grande di lei di 15 anni e, nonostante l’opposizione della famiglia, lo sposa. Dal matrimonio nasce un figlio, Dario. Ricorderà questo periodo come l’unico felice della sua vita.
Tuttavia, la serenità dura poco: dopo alcuni anni, il marito si ammala di diabete e muore. Milena, rimasta sola, cade in una profonda depressione e sviluppa una dipendenza dall’alcol.
Con fatica, trova la forza di riprendere in mano la sua vita e ottiene un lavoro come caporeparto in un centro commerciale a Travacò Siccomario. Qui, nel 1987, conosce Mario Fogli, un operaio sulla cinquantina che diventa il suo secondo marito.
Milena, che pensava di aver trovato un uomo amorevole, deve fare ben presto i conti con la realtà: Mario si rivela molto più simile al padre di quanto non immaginasse. Beve, insulta e picchia sia lei che suo figlio Dario, costringendola addirittura a lasciare il lavoro per paura che lo tradisca.
In compenso, obbliga Dario, ancora adolescente, a mantenere la famiglia. Dal matrimonio nascono due figlie. La situazione, però, non fa che peggiorare: Mario accumula debiti, mentre Milena cerca rifugio nell’alcol e nei farmaci.
Dopo anni di abusi, trova infine il coraggio di lasciarlo e si trasferisce a Padova con le figlie (Dario, ormai adulto, si è allontanato). Viene assunta come portinaia in una palestra, ma i soldi non le bastano. Per arrotondare, accetta un impiego come badante per un uomo di 83 anni, Giusto Dalla Pozza.
L’anziano, inizialmente gentile, si rivela presto molesto. Offre a Milena 4 milioni di lire, ma pretende 500 mila lire al mese o pagamenti in natura. Quando lei rifiuta, tenta di violentarla. È il 1995. Milena, esausta e disperata, lo colpisce con una lampada alla testa. Poi chiama i soccorsi, fingendo di averlo trovato agonizzante al suo rientro.
L’uomo muore poco dopo in ospedale. La sua morte viene archiviata come accidentale. Milena, a quel punto, torna dall’ex marito, sperando di ricominciare, ma la violenza riprende. Nel 1998, dopo l’ennesima aggressione, la donna lo soffoca nel sonno con la corda di una tapparella. Avvolge il corpo in un tappeto e lo lascia sul balcone.
Il giorno seguente, chiama i carabinieri e si costituisce. Arrestata, viene riconosciuta seminferma di mente e condannata a 6 anni e 8 mesi da scontare ai domiciliari in una comunità di recupero. Tuttavia, non riesce ad adattarsi e, rispondendo a un annuncio letto su un giornale, affitta una stanza da Angelo Porrello, ex detenuto per violenza sessuale.
L’uomo la aggredisce. Dopo ripetuti episodi, Milena gli somministra dei tranquillanti e lo uccide. Nasconde il corpo nella concimaia, ma la sera del 5 ottobre 1999, mentre guida la sua auto, viene fermata e sottoposta a controlli. Poco dopo viene arrestata e confessa l’omicidio.
In carcere la donna ammette anche il primo delitto, quello di Dalla Pozza, spiegando di aver agito per difendersi: Non ne potevo più di essere picchiata. A ogni schiaffo che prendevo da un uomo, rivivevo tutti quelli presi da mio padre.
Per la morte dell’anziano viene condannata, alla fine, a un anno e 8 mesi di reclusione. Mentre aspetta il verdetto per l’omicidio di Porrello – essendo stata riconosciuta, nel frattempo, capace di intendere e di volere – nel 2001 Milena si suicida in cella. In una lettera scrive di essere troppo stanca per andare avanti.
La sua storia ricorda quella di Aileen Wuornos.