Alessandro Impagnatiello ha premeditato l'omicidio della compagna Giulia Tramontano per "quasi sei mesi", tentando successivamente di "attenuare le proprie responsabilità", senza mostrare alcun segno di "resipiscenza". A scriverlo nero su bianco sono i giudici della Corte d'Assise di Milano, nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 25 novembre, hanno condannato l'ex barman di 31 anni all'ergastolo, con tre mesi di isolamento diurno.
La lettura della sentenza in un video della trasmissione "Ore 14".
Impagnatiello è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario pluriaggravato, interruzione non consensuale di gravidanza e occultamento di cadavere. La sera del 27 maggio 2023, colpì la compagna Giulia Tramontano, 29 anni, con 37 coltellate nella loro abitazione di Senago.
Secondo le ricostruzioni, la donna - appena rientrata da un incontro "chiarificatore" con l'altra ragazza che Impagnatiello frequentava da circa un anno - aveva deciso di lasciarlo e di ricostruirsi una nuova vita vicino ai familiari a Sant'Antimo, nel Napoletano.
I giudici scrivono: "L'imputato ha compreso che il castello di bugie con le quali aveva tenuto entrambe le donne in scacco [...] era crollato", e che "era diventato lo zimbello di tutti i colleghi del bar Armani, già informati da almeno una settimana della vicenda".
Questa situazione avrebbe provocato in lui una vera e propria "ferita narcisistica". "Una svolta", si legge ancora nelle motivazioni, che lo avrebbe spinto "ad abbandonare il modus operandi subdolo, insidioso, prudente, utilizzato nei mesi precedenti [...] e ad imprimere un'accelerazione [...] del proposito criminoso maturato nel dicembre 2022 e mai abbandonato".
Dopo il delitto, Impagnatiello cercò di bruciare il corpo della compagna, abbandonandolo infine dietro alcuni garage. Il giorno successivo, dopo aver accuratamente ripulito la scena del crimine, si recò dai carabinieri, fingendo che Giulia si fosse allontanata volontariamente mentre lui era al lavoro.
Crollò solo quando ormai convinto di essere stato incastrato, senza mai ammettere di aver premeditato l'omicidio. Secondo i giudici che lo hanno condannato al fine-pena-mai, iniziò invece a pensare al delitto "il 12 dicembre" precedente, pochi giorni dopo aver appreso che Giulia aspettava un bambino, percepito come un ostacolo alla sua carriera e alla sua vita con l'amante.
Quel giorno, cercò sul web del "veleno per topi stelfor" e, nei mesi successivi, lo somministrò alla compagna insieme a dell'ammoniaca e a del cloroformio acquistati online sotto falso nome, con l'intento di procurarle un aborto.
"Qualora Giulia avesse mantenuto ferma la decisione di abortire, costretta ad un passo così doloroso dal comportamento immaturo e ondivago del compagno", scrive la Corte, "molto probabilmente avrebbe subito dopo interrotto la relazione con lui, abbandonando l'abitazione di Senago [...] ed oggi sarebbe ancora viva".
Impagnatiello non le lasciò scampo. Dopo averla sorpresa alle spalle, la colpì non una o due, ma trentasette volte, undici delle quali mentre era ancora viva, tra il salotto e la cucina. In quei momenti, Giulia, inerme, dovette rendersi conto che, insieme a lei, stava morendo anche il bambino che portava in grembo, che avrebbe voluto chiamare Thiago.
"Consapevolezza - scrivono i giudici - che ha senz'altro provocato nella donna una sofferenza ulteriore rispetto a quella provocata dall'aggressione da parte del compagno", che tra l'altro, secondo la loro ricostruzione, a differenza di quanto sostenuto dalle sue legali, non si sarebbe mai veramente pentito.
Oltre alle aggravanti già citate, gli è stata riconosciuta quella del vincolo sentimentale, mentre è caduta, alla fine, quella dei "futili motivi". Secondo i periti che lo hanno visitato, fu spinto a compiere il delitto da una "dimensione rabbiosa", connotata da freddezza, la stessa mostrata anche dopo, senza rispetto per la famiglia della vittima.