Nell'anno in cui la città eterna si tira a lucido per il Giubileo, con cantieri che spuntano come funghi e milioni di euro investiti per rifare il trucco alle piazze e alle basiliche, c’è un luogo che continua a gridare vendetta. Un luogo che dovrebbe essere sacro, simbolo di rispetto e memoria, ma che invece si è trasformato nel più grande monumento al degrado della capitale: il cimitero di Prima Porta, meglio noto come Cimitero Flaminio.
Basta varcare i cancelli di questo enorme camposanto – 140 ettari di estensione, 37 chilometri di strade interne, il più grande d’Italia – per essere accolti da uno spettacolo che definire indecoroso è un eufemismo. Qui non c’è traccia della Roma delle cartoline, né del rispetto per i defunti che dovrebbe essere il minimo sindacale in una società civile. Qui c’è solo abbandono, incuria, sporcizia. E la rabbia, tanta rabbia, di chi ogni giorno viene a portare un fiore a un familiare e si trova di fronte a uno scenario da terzo mondo.
I pavimenti sono completamente allagati, con acqua stagnante che galleggia tra detriti, foglie secche e petali marciti. Dalle infiltrazioni dei soffitti – ormai ridotti a un colabrodo – le gocce cadono incessanti, creando rivoli che scorrono sulle pareti e sulle finestre, mentre i loculi si trasformano in cascate di acqua sporca che inonda fotografie, ceri e fiori. In alcuni casi, l’acqua che piove dal soffitto si mescola agli escrementi dei piccioni, regalando ai visitatori un’esperienza olfattiva degna di una discarica.
Non basta. La vegetazione ha preso il sopravvento: erba alta più di un metro, lapidi e tombe completamente sommerse da una giungla di sterpaglie, sentieri impraticabili, fontanelle a secco da mesi. In alcuni settori le tombe sono letteralmente scomparse sotto la vegetazione, invisibili ai parenti che cercano invano di raggiungerle. E dove l’erba secca domina, il rischio incendi è dietro l’angolo, insieme a quello – tutt’altro che remoto – di incontrare animali indesiderati tra le tombe.
La manutenzione? Un ricordo sbiadito. I cittadini denunciano da anni questa situazione, ma la risposta è sempre la stessa: mancano gli operai. Al Flaminio lavorano appena 60 addetti Ama, un numero ridicolo rispetto all’estensione del cimitero. Ma questa non è una scusa: nessuno può accettare che le tombe dei propri cari siano inghiottite dalle erbacce e dalla sporcizia.
Il degrado non si ferma al verde. Ovunque si trovano lapidi rotte, rifiuti abbandonati, arredi distrutti, bagni fuori uso o addirittura murati. Le fontanelle sono spesso asciutte, costringendo i visitatori a portarsi l’acqua da casa per i fiori. Le centraline dell’illuminazione perpetua sono scoperchiate, con fili elettrici penzolanti, mentre i muretti di recinzione e le pareti marmoree minacciano di crollare da un momento all’altro.
E come se non bastasse, negli ultimi mesi si sono moltiplicati i furti di lapidi, portafoto, lumini e fioriere: sciacalli che agiscono indisturbati, approfittando della totale assenza di controlli e vigilanza.
Le testimonianze dei cittadini sono un grido di dolore e indignazione. “Siamo veramente schifati da questa situazione”, si legge nei cartelli di protesta appesi tra i loculi. “Per portare un fiore non sappiamo dove passare, con tutta quell’acqua sui pavimenti e le infiltrazioni dai soffitti. In alcuni edifici l’acqua scende sui loculi come una cascata, rovinando foto e ricordi”. “Uno scempio”, ripetono i parenti che ogni giorno si scontrano con barriere architettoniche, vetri rotti, soffitti ammuffiti e la totale assenza di servizi dignitosi.
Eppure, a sentire il Comune, la situazione dovrebbe essere ben diversa. Negli ultimi anni sono stati annunciati piani di recupero, investimenti milionari, nuove linee crematorie, lavori di impermeabilizzazione, ristrutturazioni straordinarie. Solo tra il 2022 e il 2025, tra fondi comunali e appalti Ama, sono stati stanziati oltre 21 milioni di euro per la manutenzione e la cura dei cimiteri capitolini. Eppure, la realtà è sotto gli occhi di tutti: i lavori procedono a rilento, le emergenze non vengono affrontate, la manutenzione ordinaria è inesistente. Si inaugurano sale del commiato per i riti laici, ma intanto i loculi crollano e le tombe scompaiono sotto le sterpaglie.
Il cimitero di Prima Porta è diventato il simbolo di una Roma che non rispetta più i suoi morti, né i vivi che li ricordano. Un luogo che dovrebbe essere curato e ordinato in nome del dolore e del ricordo, ridotto invece a un campo di battaglia tra incuria, disservizi e promesse mancate. Un’umiliazione continua per chi si reca in visita ai propri cari, costretto a fare lo slalom tra pozzanghere, rifiuti, rovi e topi.
E mentre la città spende cifre astronomiche per rifare strade e piazze per il Giubileo, il più grande cimitero d’Italia resta abbandonato a se stesso. Nessuno si assume la responsabilità, nessuno paga per questo scempio. Eppure, il rispetto per i defunti dovrebbe essere il primo segno di una comunità civile. A Prima Porta, invece, regna solo la vergogna.