Grida di delusione e rabbia hanno accolto - fuori dal tribunale dei minori di Napoli - la sentenza emessa dal giudice nei confronti del killer 17enne di Santo Romano, ucciso con un colpo di pistola, per una scarpa di marca sporcata, a San Sebastiano al Vesuvio, la notte tra il primo e il 2 novembre 2024. "La giustizia ha fallito", ha commentato la madre, Filomena Di Mare.
Il ragazzo accusato dell'omicidio - rimasto anonimo per motivi di privacy - è stato condannato dal tribunale dei minori a 18 anni e 8 mesi di reclusione. Una pena più alta di quella richiesta dal sostituto procuratore (17 anni), ma comunque inferiore alla massima prevista, di 20 anni, a cui il 17enne andava incontro.
Fuori dal tribunale, familiari e amici della vittima hanno espresso amarezza per l'esito processuale, definendolo "vergognoso". "Per questo i minorenni continuano ad ammazzare", ha dichiarato la madre di Santo ai giornalisti. "Volevo fargli capire che chi sbaglia paga e invece abbiamo avuto la dimostrazione che non è così", ha aggiunto una signora arrivata con il figlio.
Qualcuno ha parlato di "fallimento della società". "Siamo in una guerra, non sotto le bombe, ma di fronte a pistole e coltelli", ha detto la zia di Santo, mentre la folla la applaudiva. Tutt'intorno, sventolavano ancora gli striscioni appesi in mattinata, prima dell'inizio dell'udienza. "La violenza non si giustifica, si condanna", recitava uno di essi.
Prima di ritirarsi in camera di consiglio, il giudice ha rigettato la richiesta del difensore del 17enne di una perizia psichiatrica. Già nelle prime fasi d'indagine, del resto, il ragazzo era stato ritenuto capace di affrontare il giudizio per la "scaltrezza" dimostrata dopo il delitto.
I fatti risalgono allo scorso novembre. All'origine, un fatto banalissimo: un amico di Santo - 19 anni, incensurato, con un futuro nel mondo del calcio nel ruolo di portiere - pestò e sporcò involontariamente una delle scarpe (firmate Gucci) del 17enne, originario del quartiere Barra.
Ne scaturì, tra i due, una lite molto violenta, nel corso della quale Santo si mise in mezzo per cercare di fare da paciere, offrendosi - addirittura - di pulire la scarpa. Il ragazzo, a un certo punto, raggiunse la sua auto (una minicar nella quale furono poi trovati 3,4 grammi di marijuana e un bilancino), afferrò una pistola e, tornando, fece fuoco.
Santo fu colpito e ferito al petto. Poco dopo, nonostante l'intervento dei soccorsi, morì. Nel frattempo, il 17enne fuggì, tentando di disfarsi non solo dell'arma usata, ma anche della sim del suo cellulare.
Individuato grazie alle testimonianze e all'analisi delle telecamere di videosorveglianza, fu fermato - qualche giorno dopo - e trasferito in una struttura penitenziaria per minori. Durante l'interrogatorio, ammise di aver sparato, dicendo però di averlo fatto per "legittima difesa". Alle spalle avrebbe diversi precedenti penali.
La storia di Santo è simile a quella di altri giovani morti in anni recenti, come Francesco Pio Maimone, Giovanbattista Cutolo, ma anche Salvatore Turdo, Massimo Pirozzo e Andrea Miceli, vittime della sparatoria di Monreale.
Le indagini su quest'ultimo caso sono ancora in corso: il 19enne fermato - di nome Salvatore Calvaruso - avrebbe aperto il fuoco sui giovani, che non conosceva, per un commento sul suo modo di guidare lo scooter.
Interrogato, avrebbe già fatto le prime ammissioni. Si stanno cercando ora i quattro ragazzi che erano con lui tra il 26 e il 27 aprile scorso, notte della strage.