Tra tradimenti, superuomini e crisi d’identità, quattro amici si confrontano con il tramonto del maschio alfa. Il risultato? Una commedia agrodolce che fa ridere, riflettere e discutere.
C’è qualcosa di profondamente familiare in "Maschi veri", la nuova serie italiana - ma ripresa dalla spagnola "Machos Alfa" - targata Netflix che, senza troppi proclami, si è ritagliata uno spazio di rilievo tra pubblico e critica. Forse perché riesce a toccare nervi scoperti con leggerezza, mettendo in scena un’umanità maschile che raramente trova spazio fuori dagli stereotipi: quella dell’uomo confuso, spaesato, in cerca di senso in un mondo che cambia troppo in fretta.
Il tutto in un contesto borghese, estivo e ordinato - quello di una Roma che fa da cornice elegante a una serie di disordini interiori. "Maschi veri" non rivoluziona il genere, ma lo aggiorna con intelligenza: tra dialoghi brillanti, personaggi credibili e un’ironia che colpisce il bersaglio senza essere mai compiaciuta. Una serie che prende la crisi della mascolinità e la trasforma in un’occasione per ridere - anche un po’ di noi stessi.
La chiamano "commedia", ma "Maschi veri" ha l’occhio vigile della satira ben scritta. Otto episodi targati Netflix, ambientati nella Roma borghese che sembra uscita da una rivista di design, ma con dentro tutto il disordine emotivo del maschio medio-italiano in crisi d’identità.
I protagonisti - Maurizio Lastrico, Matteo Martari, Francesco Montanari e Pietro Sermonti - interpretano quattro quarantenni, ex compagni di università, oggi uomini disallineati da un mondo che cambia troppo in fretta.
La chat "Maschi veri", da cui tutto parte, è una palestra tragicomica dove si scontrano cliché, fragilità e quel bisogno maldestro di "capirci qualcosa".
Il bello è che "Maschi veri" riesce a evitare l’effetto predica. Niente moralismi, ma neanche scivolate nella farsa da bar. L’equilibrio è tra il grottesco e il realistico: si ride, sì, ma con un retrogusto amaro. Come quando ti rendi conto che certi comportamenti sessisti non sono così lontani da casa.
Il cast funziona: ognuno incarna una variante del maschio in crisi - il seduttore, il nostalgico del patriarcato, il sensibile inconsapevole, il progressista solo a parole. Intorno a loro, compagne (molto più sveglie) e un mondo che non fa più sconti. Il risultato? Una serie che scivola via con leggerezza, ma lascia il segno.
"Maschi veri" prende spunto dalla spagnola "Machos Alfa", vero fenomeno in patria, e ne ricalca lo spirito. Ma attenzione: non è una copia carbone. Gli autori italiani (tra cui Ugo Ripamonti, Giulia Calenda e Furio Andreotti) hanno puntato di più sul lato emotivo e relazionale, lasciando da parte il ritmo più farsesco dell’originale.
La serie si concentra sulle contraddizioni dell’uomo moderno, senza cercare un colpevole ma offrendo un ritratto disilluso e a tratti tenero. Niente eroi, solo uomini qualunque che provano, spesso invano, a essere migliori. E questo, paradossalmente, è il suo punto di forza.
Il successo di "Maschi veri" - e della sua gemella spagnola - non sta solo nella scrittura brillante o nel cast affiatato. Sta nel fatto che racconta qualcosa che conosciamo bene: il momento in cui ti accorgi che le regole del gioco sono cambiate, ma nessuno ti ha dato il nuovo manuale
Gli uomini della serie non sono mostri, né santi. Sono goffi, imperfetti, a volte irritanti. Ma veri, nel senso più umano del termine. E forse proprio per questo la serie riesce a parlare a un pubblico ampio, offrendo uno specchio (spietato ma divertente) dell’Italia di oggi.