05 Jun, 2025 - 12:28

Referendum 8-9 giugno 2025, perché votare no: le ragioni di chi è contrario ai quesiti

Referendum 8-9 giugno 2025, perché votare no: le ragioni di chi è contrario ai quesiti

L’8 e il 9 giugno 2025 gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su cinque referendum abrogativi che toccano temi centrali come lavoro e cittadinanza. Quattro quesiti sono stati promossi dalla CGIL e riguardano il mercato del lavoro, mentre il quinto, sostenuto da +Europa e altre forze progressiste, punta a dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza necessario agli stranieri extracomunitari per richiedere la cittadinanza italiana. Se da una parte i promotori sostengono la necessità di rafforzare tutele e diritti, dall’altra non mancano le voci contrarie che invitano a votare “no” per ragioni sia tecniche che di merito. Ecco le principali motivazioni di chi si oppone ai quesiti referendari.

Referendum, perché votare no?

Quesiti troppo tecnici e rischio di soluzioni parziali

Molti critici sottolineano che i quesiti referendari affrontano materie estremamente tecniche, che richiederebbero interventi organici e non abrogazioni parziali. Il rischio, secondo questa posizione, è che una vittoria del “sì” lasci irrisolti molti problemi strutturali del mercato del lavoro italiano, generando incertezza normativa e un aumento del contenzioso nei tribunali. In particolare, si teme che modificare singole norme senza una visione complessiva possa creare più danni che benefici, soprattutto in un settore delicato come quello delle regole sui licenziamenti e sui contratti a termine.

Difesa dell’equilibrio tra flessibilità e tutele

Chi vota “no” ritiene che le norme attualmente in vigore rappresentino un buon punto di equilibrio tra flessibilità per le imprese e tutele per i lavoratori. Ad esempio, sul tema dei licenziamenti illegittimi, il mantenimento delle regole attuali permetterebbe di evitare rigidità eccessive che potrebbero scoraggiare le assunzioni, in particolare nelle piccole imprese. Secondo questa visione, reintrodurre il reintegro obbligatorio per tutti i casi di licenziamento illegittimo (come previsto dal quesito sul Jobs Act) rischierebbe di aumentare l’incertezza per le aziende e di ridurre la propensione a nuove assunzioni a tempo indeterminato.

Contratti a termine: meno burocrazia, meno contenzioso

Un altro punto critico riguarda i contratti a termine. I contrari all’abrogazione delle norme attuali sostengono che il ritorno all’obbligo di “causale” per i contratti a termine – cioè la necessità di specificare il motivo per cui si assume a tempo determinato – aumenterebbe la burocrazia e il rischio di contenzioso giudiziario. Da quando l’obbligo della causale è stato sostituito con limiti quantitativi, il contenzioso si è ridotto e la quota di lavoratori a termine è diminuita, sia pur di poco. Secondo questa posizione, i modi corretti per limitare l’abuso dei contratti a termine sono già in vigore e funzionano adeguatamente.

Appalti e responsabilità: serve una riforma organica

Sul tema della responsabilità solidale negli appalti, chi invita a votare “no” teme che l’abrogazione della norma attuale possa scaricare sulle imprese committenti responsabilità difficilmente controllabili, soprattutto nei casi di subappalti complessi. Anche qui, la richiesta è di una riforma organica e non di interventi spot, che rischiano di penalizzare le imprese senza risolvere davvero il problema della sicurezza sul lavoro.

Cittadinanza: integrazione e valore del percorso

Il quinto quesito propone di ridurre da dieci a cinque anni il periodo di residenza necessario per chiedere la cittadinanza italiana. I contrari sostengono che la legge attuale sia già equilibrata e che l’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, conceda già un numero elevato di cittadinanze. Secondo questa visione, la cittadinanza dovrebbe essere il punto di arrivo di un percorso di integrazione, non un automatismo burocratico. Ridurre i tempi, senza rafforzare i criteri di integrazione culturale e sociale, rischierebbe di indebolire il valore stesso della cittadinanza e di non favorire una reale inclusione.

Il referendum non è lo strumento adatto

Un’ulteriore critica riguarda lo strumento referendario in sé: secondo molti giuristi e osservatori, questioni così tecniche e complesse dovrebbero essere affrontate dal Parlamento, dove è possibile discutere e modificare le norme in modo organico e ponderato. Il rischio è che il voto popolare si trasformi in una decisione “di pancia”, senza la necessaria consapevolezza delle conseguenze pratiche delle abrogazioni proposte.

Potrebbe interessarti anche Perché non votare: le ragioni di chi si astiene e Perché votare sì

LEGGI ANCHE