La scelta era nell’aria, ma ora è ufficiale: Sean "Diddy" Combs non salirà sul banco dei testimoni. A riportarlo in esclusiva People, che ha spiegato che l’artista e produttore ha deciso - o meglio, il suo team legale ha deciso - che non parlerà direttamente in aula. Una mossa che, secondo molti analisti legali, potrebbe risultare decisiva.
Intanto, il mogul resta in carcere con l'accusa di gravi crimini federali tra cui traffico sessuale, racket e trasporto a fini di prostituzione. Ma la domanda rimane: perché questa scelta? E quali sono gli scenari possibili nella fase finale del processo che sta scuotendo l’industria musicale e l’opinione pubblica americana?
Il processo contro Diddy, in corso da sei settimane presso il tribunale federale di Manhattan, si è trasformato in un dramma giudiziario che intreccia celebrità, potere, abusi e silenzi. I pubblici ministeri hanno costruito un quadro dettagliato di quello che definiscono "un sistema criminale organizzato e protratto nel tempo", in cui Combs avrebbe sfruttato la propria influenza per trafficare donne, insabbiare denunce e orchestrare un sistema di protezione legale e mediatica attorno a sé.
Accuse pesantissime, che potrebbero costargli - nel peggiore degli scenari - la condanna all’ergastolo. Tuttavia, gli esperti legali restano divisi sulla tenuta del caso dell’accusa, soprattutto alla luce delle testimonianze e delle prove presentate finora.
All’interno dell’aula, Combs, 55 anni, ha mantenuto un comportamento alternante tra distacco e nervosismo. A tratti disinvolto, a tratti visibilmente agitato: scuote la testa, si muove sulla sedia, passa biglietti ai legali, lancia sguardi ai giurati. Un episodio emblematico: il 5 giugno, il giudice Arun Subramanian lo ha ammonito per le sue "smorfie" rivolte alla giuria, minacciando addirittura di allontanarlo temporaneamente dall’aula.
In questo clima, fatto di sguardi, gesti e silenzi pesanti, la domanda che molti si ponevano era se Combs avrebbe deciso di parlare. Ora è chiaro che non accadrà. Secondo fonti vicine alla difesa, la decisione è maturata come scelta strategica per evitare rischi inutili. Testimoniare, infatti, lo esporrebbe a un controinterrogatorio durissimo e - soprattutto - a dichiarazioni che potrebbero essere usate contro di lui nei più di 60 procedimenti civili ancora pendenti.
"È rischioso", ha detto l’ex procuratore federale Neama Rahmani: "Se parla sotto giuramento, ogni parola potrà essere usata in sede civile. I legali sanno bene che una sola contraddizione, o una risposta infelice, può avere conseguenze devastanti". Una verità scottante, oggi diventata realtà, come riportato da People.
In un primo momento, l’avvocato di Combs, Marc Agnifilo, aveva lasciato intendere che l’artista fosse "impaziente di raccontare la sua versione". Lo aveva dichiarato anche in un’intervista nel documentario di Hulu "The Downfall of Diddy". Ma la linea difensiva è poi cambiata, puntando a un approccio più prudente: evitare esposizione diretta, concentrarsi sul mettere in dubbio la credibilità degli accusatori.
E infatti, la strategia in aula si è fondata sull’attacco ai testimoni dell’accusa: secondo la difesa, alcune presunte vittime sarebbero mosse da "interessi economici, vendetta o voglia di fama".
Una delle voci più forti contro Combs è stata quella dell’ex fidanzata Cassie Ventura. Durante quattro giorni di testimonianza, ha raccontato un decennio di abusi fisici, psicologici e sessuali. Un racconto disturbante, che ha incluso dettagli su "freak off" - le feste private con droga e prestazioni sessuali estreme. Ma nonostante la forza della sua narrazione, alcuni esperti ritengono che il caso dell’accusa non sia ancora blindato.
Jennifer Biedel, ex procuratrice e ora avvocato difensore, ha dichiarato a People: "Se la giuria dovesse decidere oggi, non credo che lo condannerebbe. Mancano ancora troppi elementi, troppi tasselli per completare il quadro". Secondo Biedel, i pubblici ministeri avrebbero dovuto chiamare fin da subito i complici o i collaboratori più vicini a Combs, per chiarire "chi sapeva, quando e perché".
Altre testimonianze, poi, sono rimaste sospese. La cosiddetta Vittima 3, identificata nei documenti con il nome di Gina, non salirà più sul banco: non è stato possibile rintracciare il suo avvocato. Anche la Vittima 5, che avrebbe dovuto testimoniare con il suo nome reale, è stata depennata dalla lista. Un colpo per l’accusa, che puntava a rafforzare il quadro con ulteriori conferme dirette.
Il processo è stato seguito con attenzione mediatica costante. Le cronache dall’aula si intrecciano con le reazioni online, i commenti pubblici e le esternazioni più o meno controllate dei protagonisti. Persino Suge Knight, in carcere, è intervenuto pubblicamente, invitando Combs a testimoniare: "È l’unico modo per iniziare ad alleviare quel dolore: dire la verità, guardare le persone negli occhi".
Nel frattempo, anche la giuria non è rimasta immune da scossoni: lunedì 16 giugno, uno dei giurati è stato sostituito per incongruenze sulla sua residenza. È stato rimpiazzato da un architetto 57enne della contea di Westchester. La composizione definitiva vede ora otto uomini e quattro donne incaricati di decidere il destino di uno degli uomini più potenti e controversi dell’industria musicale americana.
Il giudice Subramanian ha annunciato che il processo dovrebbe concludersi entro il 4 luglio. Un finale denso di tensione, che arriva dopo settimane in cui lo scontro legale si è consumato sotto i riflettori. Combs, dal canto suo, continua a dichiararsi non colpevole, respinge ogni accusa e affida la propria sorte alla strategia dei suoi legali e alla valutazione finale della giuria.
Resta da vedere se la scelta di restare in silenzio sarà pagante. In aula, il tempo della parola è quasi finito. Ora parla solo il verdetto.