L’escalation del conflitto in Medio Oriente e i recenti attacchi statunitensi ai siti nucleari iraniani hanno riportato al centro del dibattito italiano una questione delicata e complessa: cosa potrebbe succedere se gli Stati Uniti decidessero di utilizzare le basi militari presenti sul territorio italiano per operazioni belliche? Il tema non è solo militare, ma investe la politica interna, la sicurezza nazionale, la sovranità e le relazioni internazionali del nostro Paese.
Al momento, secondo fonti ufficiali, non è arrivata alcuna richiesta formale da Washington per l’utilizzo delle basi americane in Italia in funzione di un intervento militare contro l’Iran. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha ribadito che l’Italia non intende entrare in guerra con l’Iran e che, per Costituzione e volontà politica, non ci sarà alcun coinvolgimento diretto di soldati o aerei italiani in operazioni offensive.
Tuttavia, la presenza di numerose basi americane – tra cui Sigonella, Aviano, Camp Darby, Gaeta, Napoli e altre – rappresenta un nodo strategico che non può essere ignorato, soprattutto in un momento di massima allerta.
L’uso delle basi americane in Italia è regolato da accordi bilaterali e multilaterali risalenti agli anni ’50, nell’ambito della NATO.
Questi accordi prevedono esplicitamente che gli Stati Uniti possano utilizzare le basi solo dopo aver spiegato le finalità e ottenuto l’autorizzazione del governo italiano. In condizioni normali, quindi, la decisione spetta a Palazzo Chigi, con la possibilità di un passaggio parlamentare qualora la questione assumesse rilievo politico.
L’articolo 11 della Costituzione italiana vieta la partecipazione a guerre di aggressione, limitando fortemente il margine di manovra del governo.
Un’eventuale richiesta americana di utilizzare le basi per operazioni offensive contro l’Iran metterebbe il governo italiano di fronte a una scelta difficile e potenzialmente divisiva.
Da un lato, il legame atlantico e gli obblighi NATO; dall’altro, la necessità di rispettare la Costituzione e di evitare un coinvolgimento diretto in un conflitto molto impopolare nell’opinione pubblica.
Fonti interne a Palazzo Chigi temono che un voto parlamentare su questo tema potrebbe spaccare la maggioranza, alimentare le tensioni tra i partiti e rafforzare le accuse di “servilismo atlantico” da parte dell’opposizione.
L’eventuale coinvolgimento delle basi italiane in operazioni contro l’Iran aumenterebbe il rischio di ritorsioni, sia sotto forma di attacchi terroristici sia di azioni dirette contro le installazioni militari e altri obiettivi americani in Italia.
Già oggi, in seguito agli attacchi statunitensi, il livello di sicurezza è stato innalzato: oltre 28.700 obiettivi sensibili sono sotto sorveglianza rafforzata, tra cui basi NATO, sedi diplomatiche, centri commerciali e luoghi di grande afflusso turistico.
La minaccia, per ora, riguarda soprattutto le basi americane in Medio Oriente, ma un coinvolgimento diretto delle installazioni italiane non può essere escluso, soprattutto se la situazione dovesse precipitare.
Le basi americane in Italia svolgono principalmente un ruolo logistico, di supporto e raccolta d’intelligence. Vista la distanza dal teatro operativo e la presenza di basi più vicine all’Iran, il loro impiego diretto in operazioni offensive appare marginale, almeno nella fase iniziale del conflitto.
Tuttavia, se le infrastrutture americane in Medio Oriente dovessero subire danni significativi, le basi italiane potrebbero acquisire un’importanza centrale, aumentando i rischi per il nostro Paese.