29 Jun, 2025 - 20:00

"Squid Game", la nuova stagione lascia senza fiato: cosa succederà adesso?

"Squid Game", la nuova stagione lascia senza fiato: cosa succederà adesso?

Quando "Squid Game" ha debuttato su Netflix nel 2021, è esploso come un fenomeno culturale globale. Ma per Hwang Dong-hyuk, il suo creatore, l'impatto è stato più profondo e personale: "Negli ultimi sei anni non è passato un solo giorno senza che pensassi a "Squid Game"", ha dichiarato. Una dichiarazione che racconta la pressione creativa, il tormento narrativo e l’enorme responsabilità di dare un finale soddisfacente alla serie più vista nella storia della piattaforma.

Ora che la terza stagione - confermata come l’ultima - è arrivata, Hwang rompe il silenzio sul destino del protagonista Seong Gi-hun, su un possibile spin-off, e sul messaggio finale della sua distopia feroce e politica. E lo fa con una consapevolezza lucida: la storia è chiusa, ma le ferite narrative (e personali) sono ancora aperte.

Il sacrificio di Gi-hun e il "peccato originale"

Dopo essere sopravvissuto agli orrori dei giochi nella prima stagione e aver cercato di smantellarli nelle due successive, Seong Gi-hun non arriva vivo alla fine. Il suo percorso culmina in un sacrificio: muore per salvare il neonato di Jun-hee, una giocatrice morta poco dopo il parto. "Ho voluto mostrare l’abisso dell’umanità, ma anche lasciare una speranza luminosa", spiega Hwang.

Ma Gi-hun non muore da eroe puro. Come rivela il regista, l’uomo ha ormai le mani sporche di sangue: in un gioco a nascondino nella terza stagione, spinto dal senso di colpa per la ribellione fallita, Gi-hun uccide un altro concorrente. "È un peccato originale inconciliabile", afferma Hwang. Non è solo il trauma a schiacciarlo, ma il peso di una colpa morale che lo divora.

L’arco narrativo finale della terza stagione non è solo il più oscuro della serie, ma anche il più umano: un uomo spezzato che cerca redenzione, ma scopre che l’unico modo per ottenerla è dare a qualcun altro - a una nuova generazione - la possibilità di un futuro. Il neonato non rappresenta solo la coscienza, ma anche la necessità urgente di "aggiustare il mondo" per chi verrà dopo.

La distopia come specchio del presente

Se la prima stagione di "Squid Game" aveva sorpreso per la sua feroce critica al capitalismo e alla disuguaglianza, la seconda e soprattutto la terza stagione hanno alzato il tiro, trasformando i giochi in un’allegoria ancora più politica. Uno degli elementi centrali della nuova stagione è il meccanismo del voto: i partecipanti devono decidere se continuare o fermare i giochi. E votano sempre per proseguire.

"Mi sentivo deluso, come spettatore, ogni volta che vedevo gli Os vincere", ammette Hwang. "E questo è un riflesso del mondo reale". Secondo il regista, viviamo in un’epoca in cui il voto non è più uno strumento di dialogo, ma una fonte di divisione estrema. "Non riusciamo più a pensare che gli altri possano avere idee diverse dalle nostre. È solo "io ho ragione, tu hai torto"".

E qui entra in gioco anche la manipolazione mediatica: "Populismo, propaganda, fake news generate dall’intelligenza artificiale e consumo algoritmico di notizie” contribuiscono a una polarizzazione tossica. "Squid Game" non è più solo una metafora della sopravvivenza in un sistema spietato, ma una diagnosi lucida del presente, delle sue trappole ideologiche e della crescente difficoltà a uscirne.

VIP senza maschere e spin-off senza fretta

Se nella prima stagione i famigerati VIP erano figure velate, nascoste dietro maschere, la terza stagione li porta sotto i riflettori. Non è solo una scelta narrativa, ma un commento sul potere contemporaneo. "Oggi chi detiene il potere vuole farsi vedere. Vuole che si sappia che controlla. Questo vale in America, ma sempre di più anche in Corea", osserva Hwang. L’oligarchia non si nasconde più: si esibisce.

Ed è proprio un VIP a sorpresa - interpretato da Cate Blanchett - a chiudere la serie, nel ruolo di reclutatrice per una versione americana dei giochi. Un cameo che ha acceso immediatamente le voci su uno spin-off in lingua inglese. Hwang, però, frena: "La storia è finita in un modo che non richiede un seguito". Se mai ci sarà un’espansione del franchise, sarà nel passato, tra la prima e la seconda stagione, magari per esplorare la storia di altri giocatori o guardie.

"È solo un’idea, non c’è nulla di confermato", chiarisce il regista. Anche perché, dopo sei anni di lavoro ininterrotto e ulteriore stress ("ho perso altri denti per la pressione", confessa ridendo), è tempo di chiudere un ciclo. Non senza amarezza: "Ora che posso liberarmi del peso di tutti quei segreti, mi sento sollevato. Ma anche vuoto. Spero solo che la terza stagione venga accolta con lo stesso amore della prima".

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