"Califano" è un film-tv del 2024 diretto da Alessandro Angelini, interpretato da Leo Gassmann al suo debutto da attore, andato in onda su Rai 1 - e che stasera torna sulla Rete Ammiraglia in prima serata - e tratto da "Senza manette", biografia scritta da Franco Califano e Pierluigi Diaco.
Il racconto si apre con un anno decisivo: il 1984, il Califfo viene arrestato dagli agenti e accusato di spaccio di droga e affiliazione camorristica. Così parte il lungo flashback sulla sua vita travagliata. Il film alterna momenti di eccessi, guai giudiziari e le sue grandi canzoni - le canta Leo dal vivo in studio con i musicisti storici di Califano.
Ma come finisce la pellicola? Ecco cosa sappiamo sul biopic firmato Rai.
Sebbene si muova tra gli ambienti storici romani e milanesi, tutto il film è stato quasi interamente girato nella Capitale: dal Teatro Parioli di Roma al quartiere della Dolce Vita, ovvero Via Veneto e le zone circostanti, come il rione Ludovisi e il Pinciano, passando per appartamenti, studi televisivi e locali da cui traspare l’energia punk e bohémien degli anni '60 e '70.
Le scenografie rievocano la vita in borgata, per questo sono stati scelti i quartieri Garbatella, San Paolo e Monteverde. Secondo alcuni reportage, alcune ambientazioni fondamentali sono state girate ad Ardea, vicino a Roma, luogo natale e ultimo riposo di Califano. Qui, le sequenze hanno ricreato ambienti d'infanzia, rapporti familiari e la sua identità profondamente legata al territorio.
Le lavorazioni del film sono durate cinque settimane, nel tardo 2023. La produzione, guidata da Greenboo Production in collaborazione con Rai Fiction, ha scelto luoghi simbolici della gioventù e della maturità artistica di Califano: dalla casa con la madre ai palchi romani, dai locali underground alla clinica per la disintossicazione.
Per le scene ambientate a Milano, la produzione ha scelto una combinazione tra set costruiti e luoghi reali: il quartiere di Brera, via Montenapoleone e alcuni locali storici sono stati utilizzati per dare autenticità al contesto artistico e musicale della città negli anni '70. Le scene ambientate nella clinica per la disintossicazione sono state girate all’interno di una villa a Cernobbio, sulle rive del Lago di Como, adattata per l’occasione.
La storia comincia nel 1984. Franco Califano è nel camerino del Teatro Parioli: la serata dovrebbe essere il trionfo della sua carriera, ma sei uomini in divisa fanno irruzione, lo ammanettano e lo portano via davanti a un pubblico attonito. Ed è qui che inizia il lungo flashback che attraversa vent’anni di esistenza.
Siamo nel 1961: Califano ha 23 anni, vive con la madre e il fratello, il padre è morto. Scrive poesie, sogna via Veneto, la dolce vita e quella "Hollywood sul Tevere" che brilla di lustrini e promesse. Il suo amico del cuore è Antonello Mazzeo (Giampiero De Concilio), presenza costante nella sua vita. Il primo amore è Rita (Celeste Savino), che sposa e da cui ha una figlia. Ma Franco sente che quella non è la sua strada: parte per Milano.
Nel capoluogo lombardo lo ospita Edoardo Vianello (Jacopo Dragonetti). Qui inizia a scrivere per veri artisti, tra cui Ornella Vanoni (Valeria Bono), e stringe amicizie con volti storici come Gianni Minà (Andrea Ceravolo). Ma alla luce del successo si alternano ombre pesanti: amori tormentati, droga, eccessi. Califano diventa cocainomane, ma nel 1968 prende in mano la sua vita e si disintossica in una clinica.
Il riscatto arriva nel 1973: la sua Minuetto diventa una hit di Mia Martini, e con Vianello fonda la Apollo Records. Ha l’intuito per il talento e lancia i Ricchi e Poveri, portandoli a Sanremo. È in questo periodo che si lega sentimentalmente a Mita Medici (Angelica Cinquantini), diva dell’epoca. Il successo lo riporta in cima, ma l’instabilità emotiva resta.
Nel finale il cerchio si chiude e torniamo al punto da dove è partito tutto. Il 1984.
Califano viene travolto da un’inchiesta per spaccio e presunti legami con la camorra, in particolare con Raffaele Cutolo e Francis Turatello, boss della mala milanese. Viene arrestato con l’accusa di associazione a delinquere ma, grazie alla tenacia dell’amico Antonello, ottiene gli arresti domiciliari: i giudici riconoscono che l’uomo sì, si è drogato, ma non ha mai spacciato per lucro.
Proprio durante quel periodo buio, nel chiuso della sua casa e dell’anima, Califano si rimette a scrivere. È il momento in cui nasce "Impronte digitali", il suo decimo album, vero atto di riscatto personale e professionale. Brani come "Ho giocato con il tempo", "Appunti sull’anima", "Riflessioni" sono lo specchio di un uomo che si guarda dentro senza filtri, raccontando sé stesso senza paura.
Leo Gassmann, in queste scene, restituisce tutto il tormento e la bellezza di una coscienza che rinasce, anche grazie alla musica.
Eccoci quindi - di nuovo - sul palco del Teatro Parioli, ma stavolta Califano è tornato libero, pronto a riprendersi la scena. La scena finale è un colpo al cuore: Leo Gassmann canta dal vivo, affiancato dai veri musicisti che avevano accompagnato Califano nei suoi tour. Non è solo una scena del film: è un omaggio collettivo, un momento di memoria condivisa.
Califano non è più l’uomo dissoluto degli anni passati. Sul palco c’è un artista consapevole, fragile e lucido, che ha fatto i conti con i propri fantasmi e ha deciso di "diventare il miglior Califano possibile", come dice una delle battute più forti del film. Il finale non ha bisogno di effetti speciali: ha la potenza della verità. Nessuna redenzione facile, solo il coraggio di mettersi a nudo davanti al proprio pubblico, stavolta senza filtri. E la musica, ancora una volta, salva tutto.