05 Sep, 2025 - 15:05

Il delitto del Canaro: tra vendetta personale e misteri irrisolti della Magliana

Il delitto del Canaro: tra vendetta personale e misteri irrisolti della Magliana

Nella puntata di Trovati Morti, in onda su Canale 122 e condotta da Fabio Camillacci, con gli ospiti Armando Palmegiani, criminologo ed esperto di scena del crimine, e Barbara Fabbroni, psicoterapeuta, criminologa e giornalista, si è tornati a parlare di uno dei delitti più atroci della cronaca italiana.

Il caso del Canaro della Magliana, infatti, rimane una delle pagine più oscure della cronaca nera italiana, una vicenda che ancora oggi, a distanza di quasi quarant’anni, suscita inquietudine e domande senza risposta. Siamo a Roma, nel febbraio del 1988. La vittima è Giancarlo Ricci, ventisettenne, ex pugile con precedenti penali, che da tempo vive in un ambiente degradato fatto di piccoli reati, violenze e regolamenti di conti. Alcuni mesi prima era già stato bersaglio di intimidazioni: gli avevano sparato alle gambe e bruciato la moto, segnali che lasciavano presagire guai più seri. Una notte non rientra a casa. La madre, Vincenzina, preoccupata, riceve una telefonata anonima:

virgolette
“Hai trovato tuo figlio?”.

Il giorno successivo, un contadino scopre in un campo alla Magliana il corpo semicarbonizzato di un uomo, rannicchiato in posizione fetale, legato mani e piedi con spago da imballaggio, mutilato, seviziato e poi dato alle fiamme. La scena è da film dell’orrore.

L’autopsia conferma la brutalità dell’omicidio. Si scoprirà che l’autore materiale del delitto è Pietro De Negri, conosciuto come il Canaro per via del suo negozio di toilettatura per cani nel quartiere. Esile, minuto, dall’aspetto innocuo, con una vita apparentemente anonima e un’attività legata all’amore per gli animali, non lasciava presagire un gesto così efferato. De Negri confesserà, raccontando nei dettagli la sua vendetta contro Ricci, colpevole a suo dire di anni di soprusi. Secondo la sua versione, il massacro sarebbe durato sette ore, un supplizio protratto con torture e mutilazioni. Tuttavia, come ha ricordato in studio Armando Palmegiani, esperto di scena del crimine, le risultanze medico-legali smentiscono questa ricostruzione: la morte del pugile avvenne in circa quaranta minuti, e molte delle amputazioni furono eseguite post mortem. Inoltre, il memoriale scritto dal Canaro, più che una confessione lineare, appare come un delirio: mescola ossessioni, giustificazioni e persino riferimenti bizzarri a studi di cibernetica, segno di una mente alterata anche dall’uso cronico di cocaina.

Barbara Fabbroni, criminologa e psicoterapeuta, ha sottolineato come la figura del Canaro sia paradossale. Uomo schivo, fragile e apparentemente remissivo, vessato fisicamente e psicologicamente da Ricci, era in realtà portatore di un disagio profondo. La sua vita divisa tra la cura amorevole dei cani e la sottomissione ai soprusi del pugile ha generato un contrasto insanabile. Secondo la Fabbroni, l’omicidio fu l’esplosione di una deriva psichica, una vendetta brutale che, nell’immaginario collettivo, trasformò un uomo minuto e marginale in protagonista di un incubo. La cocaina, che De Negri assumeva in grandi quantità, ebbe un ruolo importante: dilatò il tempo, alterò la percezione, contribuì a rendere ancora più caotica la sua versione dei fatti.

Eppure, come hanno osservato sia Palmegiani che la Fabbroni, molti elementi non tornano. La madre di Ricci non ha mai creduto che De Negri potesse agire da solo. Troppi i dubbi: la corporatura del figlio, robusto e imponente, difficilmente avrebbe potuto essere sopraffatta e trascinata in solitudine da un uomo minuto. Le contraddizioni tra la confessione e le prove oggettive rafforzano i sospetti. Alcuni dettagli, come le presunte impronte di più persone rinvenute nel negozio o le minacce ricevute dalla vittima nei giorni precedenti, lasciano pensare a un regolamento di conti di stampo mafioso, a un’esecuzione che De Negri potrebbe aver coperto con la sua confessione. Palmegiani ha posto particolare attenzione alla figura di Fabio Beltramo, che accompagnò Ricci dal Canaro quel giorno e la cui versione dei fatti presenta incongruenze temporali difficili da spiegare. Inoltre, il memoriale del Canaro, con la storia della gabbia per cani in cui la vittima sarebbe stata rinchiusa, appare poco credibile: quelle strutture erano leggere, facilmente apribili, impossibile che un uomo della stazza di Ricci potesse rimanervi intrappolato. Più plausibile, osserva Palmegiani, che Ricci sia stato colpito e tramortito subito, forse da più persone.

Il processo aggiunse ulteriore complessità. La perizia psichiatrica definì De Negri affetto da delirio paranoico, aggravato dall’intossicazione cronica da cocaina. La diagnosi portò a considerarlo incapace di intendere e volere al momento dei fatti. Dopo poco più di un anno dal delitto, sorprendentemente, fu scarcerato perché ritenuto non più socialmente pericoloso. Solo successivamente, e dopo ulteriori vicende giudiziarie, sconterà una condanna più lunga, ma già questo episodio mostra quanto la giustizia faticò a inquadrare correttamente il caso.

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