La vicenda di Roberta Repetto continua a scuotere la coscienza collettiva, non solo per la tragedia che l’ha portata via a soli quarant’anni, ma anche per il tortuoso percorso giudiziario che non ha ancora individuato dei colpevoli. La sua storia è stata al centro di una puntata del programma “Fatti di nera”, in onda su Cusano Italia Tv, canale 122, all’interno del ciclo “Trovati morti”. In studio sono intervenuti la sorella di Roberta, Rita Repetto, l’avvocato di famiglia Paolo Florio e la psicoterapeuta e criminologa Barbara Fabbroni, che hanno ripercorso le tappe di una vicenda dolorosa, segnata da manipolazione, silenzi e verità mai pienamente riconosciute.
Roberta Repetto, 40 anni, di Chiavari, è morta nel 2020 a causa di metastasi dovute a un melanoma non diagnosticato. Due anni prima, un neo le era stato asportato senza anestesia e senza esame istologico all’interno del centro olistico Anidra, dove era stata introdotta in un contesto di manipolazione psicologica guidato dal presidente Paolo Bendinelli. Iscritta inizialmente a corsi di crescita personale, Roberta si era progressivamente allontanata dalla famiglia e dagli amici, subendo pressioni e abusi psicologici, fino a rinunciare alla medicina tradizionale. La giustizia ha assolto Bendinelli e ha rinviato la condanna di Paolo Oneda, medico che violò ogni protocollo. La sorella Rita ha fondato l’associazione “La pulce nell’orecchio” per aiutare altre persone a riconoscere contesti abusanti e prevenire simili tragedie.
Barbara Fabbroni apre il dibattito sottolineando come questo sia un caso che colpisce profondamente per il suo epilogo e per le vicende che continuano a susseguirsi. Ricorda che Roberta aveva solo quarant’anni ed era una donna solare, alla ricerca di sé, ma purtroppo si è imbattuta in una realtà dolorosa e crudele.
dice la Fabbroni, mettendo l’accento su quanto la manipolazione possa radicarsi nella vita di una persona, fino a condizionarla completamente. Aggiunge che è assurdo che una donna a quarant’anni debba subire un simile destino. Ciò nonostante, dal dolore è nata anche una reazione: un’associazione che insegna molto e che rappresenta un segno di speranza, perché
Rita Repetto, sorella di Roberta, interviene raccontando che sembra quasi che per la Corte d’Appello di Milano la responsabilità della morte sarebbe da attribuire alla vittima stessa. Lei dichiara di rispettare le istituzioni, ma non l’epilogo di questo processo e soprattutto non le parole utilizzate dai giudici, che definisce “agghiaccianti”. Sottolinea che sua sorella negli ultimi nove giorni della sua vita è stata ricoverata in ospedale e ha scelto la medicina tradizionale, segno che avrebbe comunque abbracciato la via della cura se solo le fosse stata data la possibilità di una diagnosi tempestiva.
La Fabbroni insiste sul carattere drammatico della vicenda, evidenziando come
Spiega che ambienti tossici come questi creano una rete particolare che porta ad allontanarsi dagli affetti e dalla famiglia, rendendo la persona fragile e sempre più dipendente. È proprio questa fragilità che spinge ad aggrapparsi a quel contesto, come accaduto a Roberta, fino a ritrovarsi in una soluzione senza ritorno.
L’avvocato Paolo Florio ricorda che il medico coinvolto è stato dichiarato non colpevole a livello penale, anche se la decisione finale spetta ancora ad altri gradi di giudizio e rimangono aperte eventuali responsabilità civili. Fa notare come sia sorprendente che un professionista che ha violato ogni protocollo medico sia stato assolto perché
Secondo Florio, questa interpretazione non trova riscontro nelle carte, che al contrario dimostrano che prima di avvicinarsi al centro olistico, Roberta aveva sempre seguito la medicina tradizionale. L’ipotesi, ribadisce l’avvocato, è che la donna abbia subito una manipolazione mentale lenta e costante, che l’ha portata a rinunciare gradualmente alla cura ufficiale fino ad arrivare a una condizione terminale. Quando si è resa conto di essere vicina alla morte, ha cercato rifugio in ospedale, ma questo elemento, a suo avviso, è stato ingiustamente trascurato nei processi.
Infine, Rita Repetto ribadisce che la sua battaglia non si ferma e che ha fondato un’associazione proprio per aiutare altre persone e fare in modo che tragedie come quella di sua sorella non si ripetano più. Dice di voler trasmettere un messaggio soprattutto ai ragazzi, per aiutarli a distinguere una vita sana da una abusante e difendersi da contesti manipolatori e distruttivi.