Nel corso del programma Psiche Criminale, in onda sul Canale 122, si è discusso del “Caso Mirabelli: chi guidava la macchina della morte?”, una puntata intensa che ha visto la partecipazione di Federica Candelise, avvocato, Carmen Iunco, criminologa, Lea Verrino, psicologa e criminologa, e Barbara Fabbroni, giornalista e criminologa. Il dibattito si è concentrato su una vicenda che ha sconvolto l’opinione pubblica e che ancora oggi lascia aperti numerosi interrogativi: la morte di Ilaria Mirabelli, trentottenne trovata senza vita il 25 agosto 2024 dopo un presunto incidente stradale in Sila.
Quel pomeriggio d’estate, la donna fu sbalzata dall’abitacolo della Volkswagen Up su cui viaggiava insieme al compagno Mario Molinari, oggi unico indagato con l’accusa di omicidio stradale. La procura ha sostenuto che fosse proprio lui al volante della vettura, ribaltatasi in seguito a una manovra azzardata. Molinari, arrestato a febbraio e successivamente rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame, continua però a dichiarare che al momento dell’impatto la guida fosse affidata a Ilaria. Intorno a questa contraddizione si è sviluppata la discussione degli esperti, chiamati ad analizzare sia gli aspetti tecnici che quelli psicologici e relazionali della vicenda.
L’avvocato Federica Candelise ha ricordato come la posizione di Molinari resti delicata e contraddittoria. Le indagini hanno infatti rilevato tracce biologiche e impronte riconducibili esclusivamente all’indagato nell’area del posto guida, mentre della presenza di Ilaria non vi sarebbe stata alcuna evidenza concreta in quella posizione. Inoltre, la famiglia della vittima, tramite consulenze indipendenti, ha rafforzato l’ipotesi che fosse Molinari a condurre l’auto. L’udienza preliminare fissata per il 7 ottobre dovrà chiarire se queste risultanze probatorie saranno considerate decisive o se emergeranno ulteriori elementi a sostegno della versione difensiva.
A complicare la ricostruzione del sinistro pesa anche la misteriosa testimonianza di una coppia che, subito dopo l’incidente, raccontò a un vigile del fuoco di aver evitato un frontale con la Volkswagen Up perché questa aveva invaso improvvisamente la loro corsia. Una dichiarazione importante, che sembrava corroborare la responsabilità del conducente, ma che si è dissolta nel nulla: quella coppia non è mai stata identificata e la loro testimonianza resta sospesa come un fantasma nel processo.
La criminologa Carmen Iunco ha posto l’accento sullo stato psicofisico di Molinari, risultato positivo sia all’alcol sia alle sostanze stupefacenti. Per la studiosa, è difficile ignorare questi elementi, che aggravano ulteriormente la sua posizione. La sua ostinazione nel sostenere che fosse Ilaria a guidare, secondo Iunco, avrebbe la funzione di evitare una condanna più pesante. Inoltre, la loro relazione era tutt’altro che serena: gelosie, litigi e una dinamica conflittuale rendevano il legame fragile e potenzialmente pericoloso.
Proprio sul tema della relazione si è soffermata Lea Verrino, psicologa e criminologa, che ha ricordato le testimonianze di amiche e familiari della vittima. Molti avevano notato comportamenti aggressivi da parte di Molinari, che però lui ha sempre negato. La stessa Ilaria, secondo quanto riferito da chi le era vicino, temeva il compagno ma non trovava la forza di interrompere quel rapporto. La Verrino ha spiegato come nelle relazioni tossiche si crei un meccanismo di dipendenza e paura, per cui la vittima resta legata al partner nonostante percepisca chiaramente i segnali di pericolo. Una spirale dalla quale è difficile uscire senza un sostegno concreto.
La giornalista e criminologa Barbara Fabbroni ha allargato il discorso al fenomeno più ampio dei femminicidi e delle relazioni disfunzionali. Ha sottolineato come dietro ogni tragedia ci siano dinamiche relazionali compromesse fin dalle fondamenta, nelle quali la fragilità individuale e l’incapacità di stabilire confini si intrecciano con la violenza e la manipolazione dell’altro. Ha parlato del rischio di assumere il ruolo di “salvatrice”, di credere che il partner violento possa cambiare, quando in realtà il cambiamento è possibile solo se l’individuo lo desidera profondamente. L’invito della criminologa è stato chiaro: imparare a riconoscere i segnali, fare un passo indietro e proteggersi prima che sia troppo tardi.
Al termine della puntata, resta sospesa la domanda che ha guidato l’intera discussione: chi era davvero al volante della macchina della morte? Una risposta che spetta alla magistratura, ma che, al di là del piano giudiziario, si intreccia con le ombre di una relazione tossica e con i silenzi che hanno preceduto l’irreparabile.