23 Sep, 2025 - 14:18

Il caso Elena Ceste, tra analisi grafologiche e dubbi investigativi

Il caso Elena Ceste, tra analisi grafologiche e dubbi investigativi

Il programma andato in onda sul canale 122, “Il caso Elena Ceste: storia di un omicidio”, ha dedicato un approfondimento a una delle vicende di cronaca nera più discusse e dolorose degli ultimi anni. A raccontare e analizzare la storia su "Trovati morti" in collegamento sono state Candida Livatino, perito grafologa e giornalista, e Barbara Fabbroni, psicoterapeuta, criminologa e giornalista, che hanno offerto due prospettive complementari sul mistero che avvolge la morte di Elena.

Il caso di Elena Ceste resta impresso nella memoria collettiva per la sua drammaticità e per il susseguirsi di dubbi, sospetti e ipotesi mai del tutto chiarite. Elena era una madre di quattro figli, una donna che sembrava vivere una quotidianità normale, senza particolari problemi che potessero far presagire quanto sarebbe accaduto. Il 24 gennaio 2014, però, tutto cambia: Elena scompare improvvisamente dalla sua casa di Costigliole d’Asti. Per dieci mesi la sua famiglia e l’opinione pubblica restano con il fiato sospeso, alimentati da una speranza che si spegne solo con il tragico ritrovamento del suo corpo senza vita in un canale di scolo poco distante dalla sua abitazione. Quella scoperta segna la fine delle ricerche e l’inizio di una nuova fase, fatta di indagini, sospetti e processi. Al centro delle accuse si trova il marito, Michele Buoninconti, ex vigile del fuoco, arrestato e poi condannato per omicidio e occultamento di cadavere.

Livatino, attraverso la sua analisi grafologica, ha cercato di delineare la personalità dell’uomo, fornendo un quadro complesso e contraddittorio. Secondo la grafologa, Buoninconti è un individuo ossessivo e geloso, con tratti che lo rendono poco equilibrato, ma ciò non costituisce automaticamente la prova della sua colpevolezza. Analizzando i suoi scritti, la Livatino nota che tende a occupare tutto lo spazio disponibile sul foglio, un segno che può indicare il bisogno di dominare l’ambiente circostante e, al tempo stesso, la sensazione di sentirsi soffocato. Questo tratto lo potrebbe spingere verso comportamenti aggressivi. La scrittura appare infantile, priva di una personalità adulta e compiuta, come se l’evoluzione emotiva si fosse fermata a metà strada tra adolescenza e maturità. Soffermandosi sulla lettera “T”, la grafologa evidenzia un tratto netto e rigido, indice di schemi mentali inflessibili dai quali Buoninconti non riesce a uscire. Le lettere piccole e angolose mostrano il tentativo di nascondere parti di sé e di tenere a bada una tensione interna costante. Nonostante ciò, analizzando la lettera “L” con la sua asola ampia, emerge un lato diverso, quello di un uomo ricco di immaginazione, capace di creare mondi fantastici in cui rifugiarsi.

Barbara Fabbroni ha invece posto l’accento sul quadro investigativo e giudiziario, sottolineando come la condanna di Michele Buoninconti sia avvenuta senza prove schiaccianti. Secondo la psicoterapeuta e criminologa, è possibile che l’uomo sia davvero colpevole, ma ciò che colpisce è la fragilità degli elementi raccolti durante le indagini. La ricerca della verità, osserva la Fabbroni, è stata condizionata dalla fretta di chiudere il caso, con il rischio di trascurare altre piste e possibilità. 

Il corpo di Elena, rinvenuto in condizioni tali da rendere difficile qualsiasi accertamento, non ha raccontato quasi nulla. Nessun dettaglio utile a ricostruire con certezza la dinamica della morte, nessuna prova scientifica che confermasse in modo definitivo l’ipotesi accusatoria. Per questo motivo, la criminologa ritiene che il processo abbia portato a una condanna basata più su deduzioni e interpretazioni che su evidenze materiali inconfutabili.

La storia di Elena continua a essere raccontata per la tragedia personale e familiare che rappresenta, oltre che come esempio di quanto sia difficile arrivare alla verità quando mancano certezze investigative. La giustizia ha pronunciato la sua condanna, ma le parole di Candida Livatino e Barbara Fabbroni dimostrano che, a distanza di anni, i dubbi rimangono vivi. Il nome di Elena Ceste evoca ancora oggi  il ricordo di una vita spezzata e l’immagine di un mistero che forse non sarà mai del tutto chiarito.

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