“L’Italia era il Paese delle differenze - scrive Angelo Argento su Artribune -. Ogni città aveva il suo ritmo, il suo accento, il suo artigiano, il suo sapore. Oggi quell’unicità è sotto assedio. Non è nostalgia: è difesa del pluralismo culturale, che è la base stessa della democrazia. Quando le città perdono i loro mestieri e le loro botteghe, perdono anche il loro pensiero. Serve una visione nuova: ripensare il rapporto tra cultura, economia e spazio urbano, restituendo valore alla lentezza, alla manualità, alla diversità. Tornare a considerare la cultura non come un prodotto, ma come un ecosistema vitale. Perché un Paese che trasforma le sue città in vetrine gastronomiche non è un Paese moderno. È un Paese che ha smesso di raccontarsi. E si limita, tristemente, a esibirsi e a vendersi per pochi spiccioli”.
E’ uno dei temi di discussione del momento insieme alla gentrificazione, cioè a quel processo di trasformazione urbana che porta alla riqualificazione di un quartiere popolare a favore di residenti e attività commerciali a reddito più elevato, spesso causando l'espulsione della popolazione originaria a causa dell'aumento dei prezzi. Questo fenomeno include il miglioramento del tessuto fisico ed edilizio, la crescita del valore immobiliare e il cambiamento del tessuto sociale e culturale del quartiere, che perde la sua identità originale a favore di nuovi usi e stili di vita.
Ma la gentrificazione “espelle i residenti, svuota le case e riduce i centri a palcoscenici - commenta Argento -. L’abbandono dei centri storici a se stessi, frutto di una pianificazione miope e di un’idea di sviluppo fondata sul consumo veloce, sta uccidendo le radici e l’anima dell’Italia, altro che difesa della tradizione o dell’identità culturale. È una strategia che confonde la valorizzazione con la spettacolarizzazione, e finisce per distruggere ciò che pretende di celebrare”. Con il rischio che l’Italia delle differenze diventi ben presto un Paese omologato.
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