L’universo DC non ha mezze misure: o esplode o implode, e "The Flash" sceglie orgogliosamente la seconda opzione… ma in modo spettacolare. Il film di Andy Muschietti mette sul tavolo uno dei personaggi più amati dei fumetti, Barry Allen, e lo catapulta in un viaggio nel tempo che somiglia a un gigantesco domino emotivo.
Ogni azione ne fa cadere un’altra, ogni buona intenzione apre portali e paradossi, e ogni corsa nella Speed Force rischia di sbriciolare la realtà. Il tutto condito da un ritorno che ha mandato in delirio gli appassionati: Michael Keaton che rinfila la tuta di Batman, come se il 1989 fosse ieri.
Il progetto, nato e rinato mille volte come una fenice cinematografica, ha macinato registi, sceneggiatori e cambi di direzione, fino ad atterrare nelle mani di Muschietti, che ha preso il materiale di "Flashpoint" e lo ha trasformato in un’esplosione di nostalgia, azione e caos controllato.
Sullo sfondo, location che diventano città iconiche dell’universo DC, riprese complesse e una produzione che non si è fatta mancare intoppi, incidenti e modifiche dell’ultimo minuto. Oggi "The Flash" è diventato quasi un film-manifesto: un mix di ambizione, tributi e scelte narrative che fanno discutere ancora.
Barry Allen vive la sua vita divisa tra due velocità: quella del supereroe che sfreccia più rapido della luce e quella dell’uomo che porta sulle spalle il trauma dell’ingiusta condanna del padre. Un dolore che lo riporta sempre alla stessa ossessione: la morte di sua madre Nora. Ed è proprio quella ferita a far scattare l’incidente che dà inizio al caos.
In un momento di fragilità, Barry corre troppo forte, troppo lontano, e finisce per viaggiare indietro nel tempo. Non vuole cambiare il mondo, solo un dettaglio minuscolo: aggiungere una lattina nel carrello della spesa di sua madre, così che quella maledetta uscita di casa non avvenga mai. Il problema? Nel multiverso DC non esistono "piccoli dettagli".
Tornato al presente, Barry si ritrova in un 2013 alternativo, viva la madre, sì, ma con una timeline che non riconosce. Il sé più giovane è lì davanti a lui, con tanta energia e zero esperienza, mentre lui… ha perso i poteri. Ed è solo l’inizio dell’effetto farfalla.
Qui entra in gioco il vero pezzo forte del film: l’invasione imminente del generale Zod, la stessa minaccia di "Man of Steel", ma in una realtà dove la Justice League non può intervenire. Diana introvabile, Cyborg non ancora nato come eroe, Aquaman mai esistito. Insomma, Barry deve improvvisare.
E l’improvvisazione si chiama… Bruce Wayne. Ma non il suo: questo è un Batman più anziano, ritirato, iconico. È il Batman di Michael Keaton, che ruba la scena con due parole: "Io sono Batman". Da qui parte una squadra improbabile, completata da Kara Zor-El, imprigionata in Siberia invece del cugino Kal-El. Lei diventa l’alleata perfetta, forte e furiosa al punto giusto.
La battaglia contro Zod, però, non è una di quelle che l’eroe può vincere con un colpo di genio. Kara muore. Bruce muore. E muoiono sempre, ogni volta che Barry tenta di tornare indietro a salvarli. La timeline non si piega. È un punto fisso della realtà.
Il finale di "The Flash" è uno di quelli che scatenano dibattiti, meme, teorie e discussioni infinite. Perché non si limita a chiudere una storia: apre un universo nuovo. O meglio, conferma che i multiversi sono la regola e non l’eccezione.
L’ultimo colpo di scena arriva quando appare il misterioso velocista che aveva spinto Barry fuori dalla Speed Force: è una versione futura e corrotta del Barry più giovane, ossessionato dall’idea di salvare quell’universo. Un Barry che ha perso se stesso pur di cambiare il destino. Il confronto tra le due versioni del personaggio è l’apice emotivo del film: il giovane Barry si sacrifica, cancellando così la sua stessa futura versione distorta.
E così Barry capisce l’unica verità possibile: salvare sua madre distrugge tutto. Torna nel passato, la guarda un’ultima volta, lascia che il destino faccia il suo corso. E poi fa un piccolo cambiamento, quasi simbolico. È un supereroe, ma non è Dio. E quella scelta lo rende più umano che mai.
Il vero cambio è sul padre: il dettaglio dei pomodori, spostati più in alto, permette finalmente di svelare la verità. È con quella minuscola mossa salva suo padre, assolto anni dopo grazie alle nuove immagini delle telecamere.
Il film si chiude con un altro twist: Bruce lo chiama per congratularsi… come se nulla fosse, ma il Bruce che scende dalla macchina non è affatto quello che Barry conosce. Non è Affleck, non è Keaton: è un Batman completamente nuovo. Segno che le linee temporali, anche quando sembrano ricucite, hanno sempre qualche sorpresa dietro l’angolo.
È un finale che gioca con l’ironia ma anche con la malinconia. Barry ha vinto e perso, tutto insieme. Ha recuperato un pezzo della sua famiglia, ma ha lasciato andare per sempre quello più prezioso. E ha capito che la sua identità non è definita dal passato, ma dalle scelte che fa ogni volta che corre.
Le riprese di "The Flash" hanno trasformato mezzo Regno Unito in un gigantesco set DC. I Warner Bros. Studios Leavesden hanno ospitato la gran parte delle sequenze più complesse, quelle in cui la Speed Force, gli effetti visivi e la fotografia high-tech la fanno da padrone. Ma la produzione non si è fermata lì.
Burghley House nel Lincolnshire è diventata una splendida versione alternativa di Wayne Manor. Londra, soprattutto la zona intorno alla Cattedrale di St Paul, si è trasformata in Central City per un mix di esterni e sequenze urbane.
Poi tocca a Edimburgo e Glasgow: due città che hanno fornito strade, piazze e scenografie perfette per ricreare Gotham City. In particolare, George Square e Renfield Street sono finite sotto i riflettori grazie alle scene d’azione con la Batmobile e la Batcycle.
Non sono mancati gli imprevisti: durante una scena in moto, un cameraman si è scontrato accidentalmente con la Batcycle. Ferito, ma fortunatamente non gravemente, l’incidente ha temporaneamente sospeso le riprese. Michael Keaton ha terminato il suo lavoro ad agosto 2021, mentre l’intera produzione ha chiuso i battenti a ottobre, dopo 138 giorni intensissimi.
Le ambientazioni britanniche, trasformate grazie a effetti visivi e scenografie curate, hanno dato al film un’estetica solida: epica quando serve, ma con il giusto tocco di realismo urbano. Il mix perfetto per un racconto in cui passato, presente e futuri alternativi si incastrano come un puzzle impazzito.
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