Essere macho è sopravvalutato, al di là della frase che negli ultimi minuti il flemmatico protagonista rivolge a mezza bocca al suo giovane pupillo, in questo Cry Macho basato sul romanzo omonimo del ‘75, ultima pellicola di e con Clint Eastwood - 91enne che è ormai alla quarantesima regia - non si vede una grande disamina del machismo. Parliamo piuttosto di un film sulle seconde occasioni, che si divide tra romanzo di formazione e romantici quanto improbabili nuovi inizi, perché no, riservati anche a chi è già avanti con l’età. La vecchiaia, infatti, va affrontata alla Clint: con leggerezza e nonchalance, si vive alla giornata e non importa se sia l’ultima. Ma tutti, prima o poi, hanno diritto a un buen retiro, anche il più tosto dei cowboy. E Cry Macho da questa prospettiva è solo un’altra tappa di un lungo addio.
Presentato in anteprima a Torino, è un western senile ma soprattutto un road movie che diventa viaggio della vita. Diverso dall’ultimo Richard Jewell, più vicino al precedente The Mule, è un tenero omaggio alla terza età che fa capolino già nella simpatica contraddizione alla base del titolo. Non fa particolarmente bene al box office, ma d’altronde le possibilità di far presa su un grande pubblico sono poche: se non ai soliti fan, oggi a chi importa di un vetusto texano alle prese con riflessioni e sentimenti crepuscolari. È un film che gioca sulle emozioni, degli affezionati. Abbondano i momenti sdolcinati, retorici, ma non guastano anzi impreziosiscono le disavventure della strana coppia, il cowboy in cerca di riscatto e il giovane teppista in erba, che si imbarca verso gli States in un pericoloso viaggio della speranza, o del ritorno a casa come recita il sottotitolo italiano.
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