Faida di Camorra a Pozzuoli, in provincia di Napoli, avvenuta nel 1997: oggi la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato gli ergastoli inflitti nei confronti di quattro elementi di spicco della camorra flegrea.
È un colpo di scena clamoroso quello avvenuto oggi, presso la prima sezione penale della Corte di Cassazione che ha annullato, con rinvio, gli ergastoli che erano stati inflitti nei confronti di quattro elementi di spicco della camorra flegrea per il duplice omicidio di Domenico Sebastiano e di Salvatore Bellofiore,
I fatti risalgono al 19 Giugno del 1997, quando Sebastiano e Bellofiore vennero assassinati nel rione Toiano, roccaforte del clan della Camorra e all'epoca sede dei boss di Pozzuoli, a seguito di una faida nata per il controllo delle attività illecite sul territorio. I killer rubarono un furgone parcheggiato nelle vicinanze di un bar della zona e si recarono sul posto, a quel punto i sicari scesero dal veicolo armati di fucili a canne mozze e spararono decine di volte contro le vittime che si diedero alla fuga tentando di nascondersi in un parco e tra le colonne di un porticato, ma fu tutto inutile.
La massima pena era stata comminata a Salvatore Cerrone, Nicola Palumbo, Gennaro Longobardi e Gaetano Beneduce, tutti detenuti in regime di 41bis, rispettivamente a Spoleto e a L’Aquila. Longobardi e Beneduce erano stati difesi dall’avvocato Domenico De Rosa, mentre il collegio difensivo era composto anche dagli avvocati Antonio Abet, Valerio Accorretti, Claudio D’Avino, Luca Gili e Stefano Sorrentino.
I due boss della Camorra inoltre, sono stati già condannati per associazione a delinquere di tipo camorristico anche nell’indagine sul mercato ittico di Pozzuoli del 2000.
Il duplice omicidio è stato ricostruito nel corso di indagini effettuate dai carabinieri della compagnia di Pozzuoli, coordinate dall’Antimafia e determinò l’ascesa, nel potere criminale di Pozzuoli, per le famiglie Longobardi e Beneduce, anche se quest’ultimo, fu l’unico, dei condannati, che in effetti non avrebbe preso parte, per problemi di vista, al raid a colpi di fucili calibro 12 caricati a pallettoni.
L'avvocato Domenico De Rosa ha commentato così la notizia:
Ovviamente, questa decisione, come sottolineato dall'avvocato Domenico De Rosa, getta enormi dubbi sulle dichiarazioni rese dai collaboratori.
La lotta alla criminalità organizzata, però, non può prescindere dalla partecipazione dei collaboratori di giustizia e dei testimoni. Lo strumento del pentitismo ha fornito in molteplici occasioni una chiave di lettura dall’interno del sistema mafioso, sgretolando il muro dell’omertà sul quale si poggia la criminalità organizzata. Ovviamente, un punto di riferimento essenziale come questo, deve essere utilizzato e percepito nel modo giusto, in primis dagli inquirenti: Chi collabora con lo Stato, sosteneva il giudice Giovanni Falcone, difficilmente potrà rientrare nel circuito della criminalità, cioè nello stesso ambiente di cui fanno parte i soggetti dei quali ha denunciato i misfatti. Senza effetti favorevoli, il fenomeno della collaborazione con la giustizia degli imputati è destinato a esaurirsi in breve tempo.
Appare evidente che, come in questo caso, per avvalorare nel modo giusto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, occorra anche la presenza forte dello Stato. Soltanto, infatti, quando lo Stato saprà urlare con forza la volontà di abbattere definitivamente il fenomeno della criminalità organizzata apparirà più credibile anche agli occhi degli stessi affiliati. Solo in quel momento potremo veramente accorgerci che qualcosa è cambiato anche nella collaborazione degli imputati. Questo, senza ombra di dubbio, è il principale ostacolo per il raggiungimento di risultati apprezzabili nella lotta alle organizzazioni mafiose.